Riannodare il filo del tempo e delle collaborazioni per produrre nuovi significati oggi. Questo è “Urban Story”, il progetto con cui l’associazione Dryphoto celebra i suoi quarant’anni di fotografia, arte e attivismo a Prato.
Nata nel 1977, l’associazione porta avanti da sempre una visione dell’arte come connettore sociale, capace di seguire le trasformazioni della città e di renderla un po’ meno oscura e soprattutto un po’ più inclusiva. Dal racconto della città degli esordi – una città tutta da esplorare – ai progetti di condivisione più recenti. «Con le nostre attività abbiamo sempre cercato di proporre una costruzione condivisa del bello – racconta Andrea Abati, uno degli deus ex-machina dell’associazione insieme a Vittoria Ciolini – che poi è un modo per educare all’idea di socialità rifuggendo conflitti e incomprensioni». Il progetto più famoso in questo senso è “Piazza dell’Immaginario”, in pieno Macrolotto Zero: la trasformazione di un parcheggio in uno spazio a disposizione di tutti, la costruzione condivisa di una piazza là dove di piazze non ce n’è neanche l’ombra. E «Si chiama piazza dell’immaginario – spiega Vittoria Ciolini – proprio perché vuole creare un nuovo immaginario condiviso tra comunità italiana e comunità cinese». Il messaggio universale dell’arte e del bello che diventa il ponte tra due culture. «Questa pratica dell’arte in strada, delle opere affisse sui palazzi, dell’intervento artistico direttamente sull’asfalto ha un significato molto preciso – continua Abati – significa che chi passa di lì può sentirla sua senza intermediazioni. Mettere l’arte all’esterno significa portarla all’interno di chiunque la incontri. In questo modo diventa uno strumento di relazione e una relazione è sempre bidirezionale, è sempre uno scambio». «Diventa un linguaggio comune e condiviso com’è successo anche con il giardino Melampo – gli fa eco Vittoria Ciolini – che con il tempo è diventato un patrimonio di tutto il quartiere del Macrolotto Zero». Il riferimento è al giardino della sede di Dryphoto, in via delle Segherie, il primo progetto di “sollecitazione sociale” realizzato dall’associazione.
La condivisione e la coprogettazione è un approccio che affonda le proprie radici nell’attivismo politico e sociale dei fondatori di Dryphoto. Una formazione che si rispecchia nelle dinamiche progettuali – dalle mostre di grandi fotografi italiani degli esordi ai progetti di sollecitazione più recenti – e nella scelta delle sedi, mossa sempre dall’osservazione dei cambiamenti sociali e dalla convinzione che la cultura e l’arte possono cambiare una città. «La nostra prima sede autonoma fu in centro storico, che a quel tempo era un quartiere lasciato a se stesso – racconta Vittoria Ciolini – aprimmo dopo mesi di lavori in un fondo che fino a poco prima era stato un parcheggio per biciclette». L’avventura nell’immagine di Dryphoto è però anche la testimonianza di un fermento intellettuale e culturale che dalla fine degli anni ’70 ha saputo accompagnare la storia e le trasformazioni della città anno dopo anno senza esaurirsi mai. Le voci, i volti e gli aneddoti dei tanti pratesi che hanno gravitato intorno a Dryphoto sono stati raccolti in un documentario – Urban Story, nascita di un’utopia – che è una testimonianza preziosa a trecentosessanta gradi, per riannodare la storia di un pezzo di Prato e anche per chi, tra i più giovani, è in cerca di ispirazione.
Nella grande stanza dell’archivio di Dryphoto, Vittoria Ciolini e Andrea Abati proseguono in questi giorni il lavoro di catalogazione di una sterminata quantità di materiali. Tra le tante opere ripescate, alcune delle quali sono state riproposte nei mesi scorsi sui muri del quartiere, c’è anche l’idea di riproporre la mostra dedicata al tifo calcistico pratese, uno dei primi lavori dell’associazione, ma senza rinunciare a nuovi progetti e a nuove iniziative nel Macrolotto Zero, una fonte inesauribile di stimoli.
«Da molti anni adesso siamo nel Macrolotto Zero, un quartiere che ha fatto rinascere la voglia di raccontare ai pratesi una città in continua trasformazione – spiegano – e anche in futuro ci sarà molto da fare e da dire, perché il quartiere sta attraversando uno dei momenti peggiori degli ultimi».