Sì, ho corso da Firenze a Prato, da Piazza del Duomo a Piazza del Duomo, dal campanile di Giotto a quello di Guidetto.
Mi sono chiesto, che senso ha partecipare come “turista” alla maratona di New York rispetto al collegare passo dopo passo i luoghi più significativi della mia vita? Un’idea che è nata dopo aver partecipato – a distanza di due settimane – alla Maratonina di Prato e alla Firenze Half Marathon, su circuiti che estesi avrebbero coperto l’intera distanza fra le città, le due maggiori della Toscana.
Il fascino dell’impresa mi ha spinto alla ricerca di un percorso che fosse rispettoso delle esigenze del podista, ma anche estraneo a digressioni superflue o panoramiche che avrebbero falsato la reale distanza fra i due campanili: in poche parole ho studiato la strada più breve, veloce e piacevole da poter affrontare correndo lontano dai fastidi del traffico e dai dislivelli collinari.
Le due piazze distano in linea d’aria solo 17,5 chilometri e secondo Google il tragitto minimo da poter calpestare è di 19 chilometri, ma chi vorrebbe mai respirare lo smog dell’Osmannoro o vedersi sfiorare dalle auto in corsa sui vari stradoni? Per questo ho dovuto iniziare una fase di ricognizione e sopralluoghi, perché mi sono reso conto di non aver idea di come transitare agevolmente tra Firenze e Prato senza avvalermi di alcun mezzo.
Un fatto che mi ha colto di sorpresa e mi ha reso consapevole dell’importanza di questo progetto: centinaia di viaggi, avanti e indietro, ma sempre in auto o in treno, con mezzi che come stargate trasportano in luoghi in qualche modo distinti e slegati, vicini ma su due pianeti diversi.
Firenze e Prato fanno veramente parte di un unico mondo e territorio? Dovevo assolutamente rendere concreto tutto ciò con l’esperienza diretta, sensoriale ancor più che razionale. Non starò qui a parlare di questa corsa come improbabile e forzato simbolo di gemellaggio romantico fra comuni fieramente rivali, di percorso nell’arte dal Rinascimento al Contemporaneo o di poetiche e bucoliche confluenze di fiumi, ma di un legame quasi obbligato che ogni pratese ha con Firenze: l’università, le serate, gli amici, nel mio caso anche alcuni parenti, avi e non ultima la mia compagna di vita segnano la connessione con la città del Giglio; in una parola si tratta semplicemente di vita vissuta.
La stessa intimità che è insita nell’arte del correre: un podista non ha modo di filosofeggiare o concentrarsi su nient’altro che non sul passo successivo, il contesto semplicemente gli risulta in maniera generica piacevole o meno. Per me ad esempio non è raro avere dubbi sulle strade percorse: “Sono passato sul Ponte Vecchio? Boh, può darsi”. Mi dispiace Vasari, mi scusi Brunelleschi, tutti noi qui siamo nati nel lusso che avete creato, ora lasciateci senza distrazioni, tanto la corsa è totalizzante.
Le due torri
Con un certo orgoglio e l’espressione del miglior Clint Eastwood ho comprato il biglietto di sola andata per Santa Maria Novella, “che tanto al ritorno ci penso io”. Era il primo giorno d’estate, un caldo pazzesco a cui sono andato incontro pur di non snaturare l’equilibrio fra il mio essere sportivo e pigro allo stesso tempo, infatti sono giunto ai piedi del campanile di Giotto tardi, solo alle 8 di mattina, consapevole di avere davanti un’attività di un paio d’ore, fra le più bollenti della giornata.
Ogni runner infatti sa con una certa precisione quanto tempo impiegherà a compiere una gara o un allenamento, io mi ero prefissato di tenere un ritmo di 5 minuti al chilometro (una velocità media di 12 km/h), quello che utilizzo per gli allenamenti lenti ma lunghi.
Il percorso che ho studiato si estende per poco meno di 26 chilometri, esaminati attentamente per non avere imprevisti che avrebbero portato a indecisioni o addirittura a soste forzate, che per un podista trasformano le corse in tristi passeggiate, anche se si tratta di soste di pochi secondi. Mai fermarsi, questa è l’unica regola che fa la differenza fra una vittoria e una sconfitta. 26 chilometri sono tanti anche per chi è avvezzo a tale sport, ma pur sempre molti meno dei 42 di una maratona, quindi niente paura.
I primi chilometri sono sempre quelli più facili, la mappa della strada da seguire era tutta nella mia testa: nessun viale da attraversare, nessuna interruzione, tutto liscio lungo l’Arno, le cascine, la ciclabile dei Renai fino alla stazione di San Donnino (sì, esiste), poi un taglio in direzione delle rive del Bisenzio attraverso una mai sentita località chiamata Il Valico, che tra l’altro è situata in una zona piatta al massimo. Mah.
Gli argini erano perfettamente puliti e curati, ma sapevo che mi avrebbero rallentato a suon di forasacchi conficcati nelle caviglie, fino a Campi Bisenzio, dove al sedicesimo chilometro è iniziata la sfida vera: la distanza, sommata ai dieci chilometri del giorno prima, si faceva sentire, ma soprattutto la temperatura stava aumentando in modo pauroso. Ogni grado in più è come un foro nel serbatoio di un’auto, il caldo è decisamente il peggior nemico del podista. Molti rimangono basiti alla vista dei runner in giro con la pioggia o col gelo, in realtà quelle sono condizioni ottimali in cui uscire in maglietta e pantaloncini, sembrando i pazzi che invece sono coloro che corrono sotto al maledetto sole. Mi dispiace, mamme italiane, abbiamo scoperto che l’acqua e il freddo non uccidono, anzi.
La divisa della mia squadra (Cykeln Team!) è pure nera, ma mi è stata comunque di aiuto morale. Il podismo non perdona, non c’è nessun mezzo, nessuna forza inerziale, nessun moto ondoso, niente che sospinga il runner, solo l’accelerazione di gravità che lo schiaccia verso il basso: non può esserci un minimo di esitazione, un istante di pausa equivale a una sosta, a zero chilometri all’ora, ogni passo va conquistato. All’altezza di Capalle sono iniziati gli inconfessabili pensieri fissi del podista, dalla seduta del divano di casa al piatto di carbonara, fino al “chi me l’ha fatto fare?”.
Normale, se non ci arrivi hai probabilmente fatto finta di correre. Finite le scorte d’acqua e gli integratori sono giunto al livello Pre-Morte, uno stato di sofferenza che può solo darti soddisfazione e sollievo, sia in caso di decesso che di sopravvivenza, ti dici. La corsa non ti fa “sentire vivo”, ti allontana dalla vita, ti porta in una dimensione diversa, esterna, e delle volte ti fa sembrare di essere più lontano dalla vita che non dalla morte, un fatto che fortifica tantissimo lo spirito e abbatte i tabù mentali.
Il campanile di Prato non si vede fino all’ultimo gomito di Via Garibaldi, ma alla fine l’ho raggiunto in due ore e otto minuti, in perfetta linea con quanto preventivato. La soddisfazione non si è limitata al lato tecnico e sportivo di questa spedizione solitaria, perché ho subito capito di aver raggiunto l’obiettivo: ho cucito insieme due lembi per me fondamentali, Firenze e Prato ora mi appaiono profondamente collegate, tanto che le ho viste trasformarsi lentamente l’una nell’altra; ho calpestato ogni centimetro che le separa e ciò rende questa porzione di mondo più piccola e chiara di prima nella mia mente.
Relive ‘Le due torri – Dal campanile di Firenze a quello di Prato’
Per quanto sia durato più di sempre, il viaggio mi ha rivelato come non mai l’esigua distanza e la continuità esistente fra queste realtà della mia vita, a conferma che la conoscenza – perfino quella più basilare – avvicina piani diversi in modo incredibile e sorprendente.
Sicuramente molti altri più esperti di me avranno già compiuto questa corsa, che non è estrema, ma lo sembra perché “da una città all’altra non ci si va di corsa”. Finora l’unico che conosco che è tornato a piedi da Firenze a Prato è il mio babbo, che il 4 novembre del 1966 fuggì dall’alluvione con l’unico mezzo disponibile in quei momenti drammatici.
Un’esperienza rivelatrice, intima e interessante per la quale mi sento di dare un solo consiglio: non provateci a casa.
Le due torri in numeri
Distanza totale: 25,71 km
Percorsi esclusivamente ciclabili e/o pedonali: 19,7 km circa
Percorsi adiacenti a strade: 6 km circa (solo strade poco trafficate, nessun attraversamento pericoloso)
Percorso sterrato: 14,5 km circa
Percorso su asfalto o pietra: 11,2 km circa
Dislivello complessivo (salite e discese): 112 m
Tempo stimato a ritmo di camminata normale: 5-6h circa
Per chi volesse parlarne direttamente con me, qui i link ai miei profili Facebook e Strava, su cui potete unirvi anche al gruppo Correre a Prato.