“Made in America. Le mille luci di New York” è il titolo della mostra che vedrà arrivare alla Galleria Open Art (viale della Repubblica 24) le opere di 30 artisti che hanno esposto alla Martha Jackson Gallery di New York.
La mostra che prenderà il via domani, sabato 18 novembre, ruota intorno “alla personalità di Martha Jackson che, con la sua galleria di New York, ha scritto un importante capitolo della storia dell’arte contemporanea statunitense, in particolare quella dell’Espressionismo Astratto”, si legge nella presentazione.
“Made in America”, curata da Mauro Stefanini, propone infatti opere di Paul Jenkins, Sam Francis, James Brooks, Norman Bluhm, Fritz Bultman e Michael Goldberg, di altri esponenti dell’Espressionismo Astratto americano, quali John Ferren, John Grillo e Conrad Marca-Relli e di Beverly Pepper, una delle più riconosciute protagoniste, insieme a Louise Nevelson, della scultura contemporanea americana al femminile.
L’inaugurazione si terrà alle 18 e la mostra sarà visitabile fino al 27 gennaio, ingresso libero, con i seguenti orari. Dal lunedì al venerdì dalle 15 alle 19. Il sabato dalle 10.30 alle 12,30 e dalle 15 alle 19,30. Chiuso domenica e festivi.
La storia
“Made in America condurrà il visitatore nel clima elettrizzante di New York, nella metà del secolo scorso – si legge nella presentazione alla mostra – È qui che giungono gli artisti, da Moholy-Nagy a Gropius, da Josef Albers a Piet Mondrian, in fuga dai totalitarismi che si svilupparono in Europa a partire dagli anni trenta. La Nuova Frontiera indicata dall’epocale mostra dell’Armory Show nel 1913, già attraversata da Marcel Duchamp e da Salvador Dalì, ora si presenta come il grande teatro nel quale le esperienze del modernismo artistico possono trovare attenzione e risonanza mondiale. Nel 1942 Peggy Guggenheim apre la galleria-museo Art of This Century; Leo Krausz (Leo Castelli), dopo le collaborazioni parigine a fianco di René Drouin, è impegnato nella ricerca dei giovani talenti che si affollano nella “Grande mela” e, nel 1957, apre la sua galleria”.
La “scuola di New York” sta sbocciando tumultuosa sul finire degli anni quaranta, accomunando i cultori del segno e del gesto pittorico – gli action painters – e coloro che invece prediligono le larghe campiture di colore – i color field painters. Nel 1950, gli irascibili – come spregiativamente li chiama l’Herald Tribune – contestano vivacemente il progetto di mostra presentato dal Metropolitan Museum. Tra di essi, assieme a Barnett Newman, ci sono Jackson Pollock, Willem De Kooning, Mark Rothko, James Brooks, Robert Motherwell, Franz Kline, Conrad Marca-Relli, Clifford Still, Arshile Gorky: il cuore di quell’Espressionismo Astratto che sta ricercando un equilibrio originale tra vigore del segno e “sublime”, tra astrazione e visione interiore.
E nel 1953 Martha Jackson, originaria di Buffalo, apre a New York la sua galleria che, in un decennio, raccoglierà attorno a sé artisti di prim’ordine: da Jim Dine a Sam Francis, da Adolph Gottlieb a Willem De Kooning, da Claes Oldenburg a Christo, da Paul Jenkins a Norman Bluhm, da James Brooks a Hans Hofmann. Se, come lei stessa afferma, “il ruolo di un gallerista è quello di fare da mediatore tra l’artista e la società”, non sorprende la sua attenzione nei confronti di una delle esperienze artistiche più radicali e irriverenti come quella nei confronti del gruppo giapponese Gutai”.
In anteprima collage di opere: James Brooks – Quod 1961, Norman Bluhm – Ingot 1960, Paul Jenkins – Eyes of the Dove, Sam Francis – Untitled 1975.