Santa Valvola è un’etichetta indipendente di Prato. Lo sapevate? Bene. Non lo sapevate? Male. Se leggete qui sotto saprete tutto quello che dovete sapere, e potrete andare in giro con la consapevolezza di essere venuti a conoscenza di qualcosa di fondamentale. Abbiamo fatto una chiacchierata col nucleo fisso di Santa Valvola: Robert Bardi, Daniele D’Andrea e Emanuele Ravalli, che vedete qui sopra fotografati coi meravigliosi panda di Pratosfera.
Cos’è Santa Valvola, e cosa fate quando non siete lì a lavorare?
Emanuele: “Santa Valvola è un collettivo informale che si identifica con la nostra sala prove, che esisteva già dai tempi del primo Capanno BlackOut e poi si è spostata. Non possiamo dire dove sia perché è tipo la Bat caverna, è un segreto. Comprende tutti i gruppi di Santa Valvola di Prato”.
Daniele: “Non è un’associazione per volontà perché nelle associazioni ci vuole una struttura, noi non la vogliamo: chiunque collabori fa parte della famiglia. Il nucleo fisso siamo noi tre, ma di fatto chi entra ed esce è libero di farlo ed è sempre ben accetto. Ci chiamiamo etichetta: produciamo dischi ma cerchiamo soprattutto di mettere su concerti per far suonare i nostri gruppi e fare scambi con altre band che ci piacciono. Diciamo che la cosa che ci piace di più sarebbe stampare dischi, quello che ci riesce meglio è organizzare concerti: lo facciamo da 15 anni e ci riesce abbastanza bene. Produrre dischi, vista l’economia di oggi, è difficile: ci proviamo ma non siamo concentrati solo su quello, lo facciamo perché sono dischi che altrimenti non uscirebbero mai e perché sono il coronamento dei sogni di una band”.
Robert: “Collaboriamo per forza di cose con altre etichette senza nemmeno conoscerci, a volte. Si creano cordate per produrre un disco che un’etichetta da sola non riuscirebbe a sostenere da un punto di vista economico, come quello dei Lleroy o i CRTVTR. C’è una band, che si chiamano Gli Altri, che si è impegnata a trovare 38 etichette fra Italia, Francia e Germania. Ma creare concerti è quello che ci riesce meglio. Poi parliamo anche di abitudine dei consumatori: dischi e merchandise si vendono ai concerti, non c’è un ritorno economico di per sé nel disco per l’etichetta. Metti i soldi e speri di riprenderci qualcosa: la cosa fondamentale è che le band vengano pagate anche solo un minimo per suonare dal vivo, e che possano suonare in modo da poter sostenere la propria economia interna“.
Daniele: “Sette o otto anni fa poi c’è stato un boom dei vinili, ma ora sta tornando il cd. In tanti hanno pensato: ehi va di moda il vinile, facciamolo pagare un botto di soldi. È tornato vecchio perché ora costa troppo e non puoi farlo pagare poco a quel punto. Non puoi fare 1000 o 2000 copie perché tante ti restano addosso. I costi di produzione di un cd sono nettamente inferiori. Ci piacerebbe fare tutto in vinile, ma è complicato”.
Robert: “Il vinile deve anche essere un oggetto memorabile: un cd è funzionale, ma ora fare un vinile comporta una cura che non è indifferente. Quando decidi di farne uno cerchi di metterci tutto l’impegno possibile, come hanno fatto i CRTVTR con l’edizione deluxe dell’album con una bella stampa, libretto e vinile color oro. Questo ovviamente comporta un innalzamento dei costi. Fare un vinile semplice anche in larga tiratura non verrebbe a costare tanto di più, ma è qualcosa che la gente snobba, quindi dobbiamo fare i conti su come muoverci e su quanto tempo e soldi investire. Per il resto da poco il Rava (Emanuele) fa il barista, io sono il segretario in uno studio di tatuaggi a Pistoia e Pisi (Daniele) lavora nell’azienda della raccolta rifiuti”.
Daniele: “Ma in centro ci vogliono male, quindi non lo voglio dire”.
Come è nata Santa Valvola?
Daniele: “E’ nata dai Nausea che cercavano un’agenzia di booking: non la trovavamo nel 2008 – 2009 e la moda del periodo era: tanto non si trovano, ce la inventiamo noi. Chiamiamola Santa Valvola, perché bassista e chitarrista sono particolarmente dissacranti, e fatto sta che sul primo album dei Nausea c’è il logo nonostante fosse uscito per BlackOut. Parliamo del 2010. Da li c’è stato un susseguirsi di eventi, come il fatto che siamo usciti tutti da BlackOut, e ci siamo messi a fare ciò per cui BlackOut era nato davvero: produrre musica e fare concerti. Da una finta agenzia di booking è nata quindi un’etichetta: avevamo già un logo e un nome fighissimi, il logo è di Simone, il bassista dei Nausea, che fra l’altro l’ha anche tatuato addosso. Da lì sono usciti Tospy the great e Go!Zilla, Mum Drinks Milk Again e quest’anno la ventottesima uscita saranno i Nudist in vinile, a settembre. Poi magari faremo una compilation di natale. O magari no. Ma ci starebbe bene”.
Robert: “Abbiamo costruito la Bat caverna, che in realtà si chiama Santa Sede, tre anni dopo (passa un gruppetto di ragazzini che ascolta Despacito a tutto volume dal cellulare) ecco, il prossimo obiettivo di Santa Valvola sarà fare un lavaggio del cervello positivo alla gente. Sono giovani ma non è una scusa. Comunque, dicevamo: la Santa Sede è nata in periodo elezioni 2013, ascoltavamo i risultati tirando su cartongesso. Il nucleo operativo esiste da 4 anni, quindi ci troviamo spesso lì la sera, e abbiamo 7 o 8 gruppi fissi. Poi ci sono anche i Cruel Experience che sono di Lucca, ma fra poco prendono la residenza da noi: sono ragazzi di 25, 26 anni che hanno metodo, sono appassionati e hanno voglia. Vengono alle serate e sono parte della famiglia”.
Daniele: “Dopo dischi e sala prove abbiamo messo su il festival, che quest’anno compie tre anni”.
Emanuele: “È il culmine dell’attività dell’anno, sia come sforzo fisico che come produzione: i nostri gruppi, quelli che portiamo noi, sono quelli prodotti durante l’anno, usciti dalla scuderia o chi è capitato tramite cordate o altri modi. Sono comunque band che non hanno suonato nel festival dell’anno prima. Per il 2017 abbiamo un gruppo inglese chiamato Delta Slip, un po’ gli eredi degli American Football, fra emo e math rock. Roba melodica supertecnica: hanno un buon nome e stanno suonando ovunque. Il festival sarà venerdì 8 e sabato 9 settembre, preciso per il patrono. A ruota di questo nome stiamo costruendo la prima serata, la seconda la costruiamo quando decideremo quale sarà il nome più importante”.
Daniele: “Sul sottobosco siamo già abbastanza lanciati, in realtà, e siamo già quasi a posto. È più facile trovare band senza promozione esagerata, classiche band che girano a 150 euro ma che poi vedi suonare e pensi: porca troia. Però poi magari ti manca l’headliner, una band che potrebbe andare su un cachet di 500 euro, e ti chiedi: chi cazzo si chiama ora? In Italia manca molto la fascia di mezzo, duriamo una fatica disumana su quel target: non abbiamo le forze per spingerci troppo oltre, perché è un festival gratuito e i gruppi che ci sono durante l’anno girano tantissimo: trovare qualcosa di particolare è dura”.
Robert: “Ci sono gruppi fortissimi che però suonano ovunque, tipo gli Zeus. Non sono affatto venuti a noia, ma cerchiamo band da lanciare su un palco davanti a tot persone. Devi trovare qualcosa che richiami gente”.
Emanuele: “L’obiettivo del festival è proporre roba nuova, che poi è quello che un’etichetta dovrebbe fare”.
Daniele: “Non ci interessa il concerto che vende o quello col pubblico assicurato: non ci guadagnamo niente comunque, i gruppi già affermati devono esserci non solo per godersi la loro musica, ma anche perché danno la possibilità alle altre band di condividere il palco con gente che ha qualcosa da dire, ha storia e sa come muoversi. Anche solo nel mangiarci un panino insieme o bere una birra con loro, scambiarci due parole, passano messaggi positivi”.
Avete portato a Prato un bel po’ di band cinesi: come è successo, e com’è andata?
Emanuele: “Suonare si suona nello stesso modo in tutto il mondo, da un punto di vista tecnico, e la cosa bella è che se sei bravo puoi cantare in ogni lingua ma la gente rimane sottopalco lo stesso. Avevamo sempre voluto portare una band cinese a Prato per vedere anche i cittadini cinesi come ci si trovano: abbiamo lavorato con Sara Iacopini e Roberto Pecorale e ci siamo trovati con la possibilità concreta di portare dei gruppi. I Demerit avevano delle date libere ed erano già in Europa, e da lì è nato il meccanismo per cui per due volte siamo stati la prima città europea del tour europeo di band cinesi. C’è un’etichetta in Cina, la Maybe Mars, che è un po’ l’equivalente della Discord Records, guidata da uno Steve Albini cinese, con cui collaboriamo e ci manda le proposte. Quando possiamo li inseriamo anche in catalogo. L’obiettivo finale sarebbe portare il suo gruppo, i PK14: entro due o tre anni ce la facciamo, visto che dovrebbero venire a registrare in Europa”.
Daniele: “Per ottobre avremmo la possibilità a portare una band equadoregna in Italia, che aveva già preso parte a Santa Valvola come El Karmaso. Ora sono tornati in Sud America e hanno una nuova band chiamata Miny Pony, e sono davvero forti”.
Robert: “Cerchiamo di valicare anche le barriere, in realtà portare qui l’underground estero non è così difficile. Come capita a noi di girare capita anche a loro, e se gli trovi uno spazio vengono più che volentieri”.
Come si sono trovate le band cinesi?
Emanuele: “Per i Fazi è andata benissimo: la serata era piena di gente e si sono trovati a suonare con gli Appaloosa, che sono una band che gira l’Europa e quando lo fa fa abbastanza il culo agli altri. In genere le band sono contente e il pubblico è sempre attratto”.
Robert: “Gli spettatori sono abbastanza onesti: se non gli piaci escono e fumano il cicchino. Invece durante questi concerti sono rimasti li dentro”.
Emanuele: “Il discorso delle band cinesi potrebbe sembrare una banalità per Prato, ma alla fine quando la band è competente e il pubblico rimane la serata ha funzionato”.
Daniele: “C’è chi si prende la bandiera dei cinesi perché fa politically correct, ma secondo me la più grande vittoria che abbiamo messo a segno è che non è più una novità avere una band cinese che suona a Prato“.
Robert: “Volevamo tirare fuori i ragazzini di origine cinese o nati in Cina per portarli a un concerto, perché non si vedono quasi mai. C’erano moltissimi ragazzini a ballare e cantare le canzoni dei Demerit, a salire sul palco e a fare casino. L’importante è vedere i giovani venire a un concerto e divertirsi: ragazzini che partono con le sedie per stare a un concerto punk seduti e a fine serata sono a pogare…ti viene da pensare che qualcosa di buono l’hai fatto”.
Quale sarà il futuro immediato di Santa Valvola?
Emanuele: “Abbiamo una serie di serate a Firenze al TittyTwister fino a fine luglio, agosto pausa e a settembre c’è la Fortezza Santa Valvola al Castello dell’imperatore dalle 18,30 in poi. Una sorta di Psycho Stage dell’Arezzo Wave. Facciamo il prima e dopo concertone, in pratica. Concerto prima e dj set dopo, e il Festival l’otto e nove settembre“.
Daniele: “Castello, festival, dischi. Il Castello è nato perché sia con l’amministrazione che con Fonderia Cultart avevamo già collaborato. Siamo considerati quelli che cercano band sconosciute e nascoste, e la volontà di dare spazio a band sotto il livello di piazza Duomo c’era, quindi sono venuti a cercarci. La chiameremo Fortezza Santa Valvola, perché il vero nome del Castello dell’Imperatore è Fortezza di Santa Barbara”.
Sono in uscita i nuovi cd di Idlegod e KennyMuoreSempre e le coproduzioni dei vinili di CRTVTR, Lleroy e Nudist. Intanto qui trovate le foto del festival 2016 e qui quelle del 2015.
Santa Valvola è presente su internet: la trovate qui.