Trenta posti a sedere, un’impastatrice per fare le “tagliatelle” per il ramen che arriva direttamente da Osaka, un capannone riqualificato, personale under 30, un ambiente progettato dallo studio d’architettura di Laura Pane e Stefania Miscetti realizzato in pietra serena e bambù, grafiche realizzate dallo studio grafico The Lietti’s di Claudio Lietti e Doris Maninger.
Siamo stati all’anteprima stampa per presentare il Koto Lab, il laboratorio pratese del già celebre “ramen bar” di via Verdi a Firenze. Perché quello di via Valentini 102 non vuole essere solo un secondo punto per gli amanti piatto giapponese, ma anche un vero e proprio laboratorio dove sperimentare e ricercare “il ramen perfetto”, dall’equilibrio di sapori sublime. Alla guida della cucina lo chef Shoji Minamihara, giapponese che dopo collaborazioni importanti con Gualtiero Marchesi e Andrea Fenoglio si lancia in questa nuova avventura.
L’apertura è prevista per fine marzo. “Sono tante le cose che la cultura giapponese e quella italiana hanno in comune – racconta Dinah Lee, ideatrice di Koto Ramen insieme a Antonia Alampi, Mattias Alampi, Matia Napolitano e Andrea Castagnola -, le principali sono: la passione per la moda, la famiglia, la passione per il cibo e la ricerca per gli ingredienti che lo compongono”. Il laboratorio di Koto vuole continuare la strada iniziata a Firenze: integrare le due culture culinarie, far convivere le differenze e far emergere i punti in comune tra tradizione nipponica e ingredienti toscani.
Nel laboratorio, che si distribuisce in un capannone riqualificato di 400 metri quadrati, lo chef creerà le basi per i piatti che poi saranno preparati nei ristoranti, come il brodo e la pasta per il ramen che con questa super impastatrice giapponese permette di realizzare le tagliatelle con minor presenza di acqua, per non far poi scuocere la pasta nel brodo. Saranno previsti anche dei corsi di formazione per chi volesse avvicinarsi al mondo del ramen.
Sì, ma cosa si mangia? Scordatevi gli “all you can eat” – finalmente -, sashimi e nigiri. Cucina a vista, squadra giovane che propone tapas giapponesi come antipasti, varie combinazioni di ramen – ovviamente – e una serie di dolci. Saké, vino o birra. La qualità generale è alta, prodotti artigianali e davvero con sapori variegati, dai più forti ai più delicati. Non abbiamo letto il menù ma ecco cosa abbiamo assaggiato.
Come antipasto edamame (baccelli di soia) con bottarga, tofu morbido con crema di sesamo nero, mandorle e erba cipollina, polpette giapponesi di baccalà e granchio e ravioli alla piastra con cavolo cappuccio e altri con maiale.
Abbiamo provato due tipi di ramen: il primo, più delicato, con brodo di pollo, spaghetti a pasta liscia, faraona, uovo marinato, piselli e cipolla. Il secondo, più forte, con miso, porchetta, cavolo nero e bietole, cipollotto fresco e uovo. Trai dolci c’è da far notare una panna cotta al basilico fenomenale.
Questo sarà sicuramente un locale che saprà far parlare di sé, che, data la sua vocazione laboratoriale, sarà un ottimo posto per chi vorrà sperimentare nuovi abbinamenti. Come atmosfera e gusto ci si potrà sentire un po’ a Tokyo, un po’ Los Angeles e un po’ in Italia, Toscana, Prato.