Da strumento per la gestione del lavoro occasionale a strumento abusato che finisce per contaminare l’intero mondo del lavoro.
Dal 2003 a oggi, il percorso dell’utilizzo dei buoni lavoro in Italia sembra essere stato questo, fino alla recente alzata di scudi generale per il loro uso massiccio e distorto, con la Cgil impegnata in una campagna referendaria per abrogarlo e la Cisl e la Uil a sostegno invece di una riforma che riporti il buono lavoro alla sua funzione originaria.
I dati provinciali toscani del 2016, nelle parole di Giovanni Santi (Nidil Cgil Prato) e di Adelina Mancuso (Felsa Cisl Toscana), sembrano confermare le critiche e le preoccupazioni. Ma c’è di più. La provincia di Prato, con un turismo e un commercio poco sviluppato, sembra una delle possibili cartine tornasole di un fenomeno che arriva a toccare anche il settore produttivo.
A Prato sono stati utilizzati poco meno di 600 mila dei 10 milioni e mezzo di voucher venduti in Toscana nel 2016 (+ 30% rispetto al 2015). Non sono poi molti rispetto al totale, ma Giovanni Santi non è d’accordo. “In realtà speravo fossero meno – dice – purtroppo, invece, le previsioni sono state tutte confermate”.
Perché quello che conta, agli occhi dei sindacati pratesi, è come sono distribuiti.
“Mi pare evidente che nei dati di Prato ci sia una sproporzione nettissima – comincia Giovanni Santi – sono abbastanza congrui quelli legati al commercio e turismo, ai servizi e all’agricoltura rapportati a province che invece ne sono caratterizzate come quelle sulla costa o quella di Firenze. Sono invece davvero impressionanti quelli raccolti nella colonna “attività non classificata”, dove confluisce l’edilizia ma soprattutto il nostro manifatturiero legato al tessile. Una sproporzione che mi riporta a un esempio pratico – continua – se una filatura vuole usare i voucher deve usarli per chi pulisce i bagni, non per chi manda la filanda. Invece è in atto una vera e propria sostituzione: prima si facevano contratti a tempo determinato, adesso si utilizzano i voucher; prima c’erano i contratti di un giorno attraverso l’agenzia interinale, adesso si usano i voucher. È una depauperazione completa del lavoratore: economica e previdenziale prima di tutto, ma anche della dignità. Per questo è necessario intervenire abolendo i voucher e ripartire da zero – conclude Santi – e cioè ritornare a ragionare su come funziona il mondo lavoro, anche e soprattutto a Prato”.
Abbiamo chiesto anche alla Cisl se si può parlare di un “caso Prato”. “Se c’è un particolarità pratese riguarda evidentemente il settore più forte e quindi, facendo una deduzione logica, le “attività non classificate” possono riguardare tranquillamente la piccola industria e l’artigianato – conferma Adelina Mancuso (Felsa Cisl Toscana) – però potrebbero comprendere anche altre voci non presenti nella tabella come per esempio i servizi di manutenzione e il settore pubblico. Oppure la disoccupazione, compatibile con i voucher fino a 3 mila euro e di cui sarebbe importante e utile incrociare i dati dei voucher con quelli reali, se solo fossero accessibili. Che sia necessaria una correzione dello strumento dei voucher è comunque indubbio. A Firenze, per esempio, la stagione estiva 2016 è andata bene ma non è stato registrato un adeguato incremento dei posti di lavoro – conclude Mancuso – una contraddizione che ci porta a pensare che buona parte della stagione sia stata gestita in nero oppure attraverso i voucher”.
Una delle caratteristiche dei voucher che a Prato si vorrebbe studiare di più è il loro rapporto con l’immigrazione. “Il voucher influisce sulla determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno – spiega Adelina Mancuso – sarebbe interessante conoscere i dati di questo fenomeno, capirne le dinamiche, studiarne gli effetti”. “Ci servirebbe conoscere la nazionalità sia del datore di lavoro che del lavoratore – aggiunge Santi – potremmo capire qualcos’altro di come funziona il mondo del lavoro a Prato”.