Uno spettro si aggira per Prato, e non è Marx. Non è nemmeno pericoloso, se è quello che state pensando: è una signora vestita come non ci si veste più da un po’, che risponde al nome di Margherita Datini.
Pierfrancesco Benucci ha scritto il terzo capitolo della sua storia letteraria spostando il focus dal marito, Francesco Di Marco Datini, alla moglie, ma utilizzando sempre lo stratagemma delle interviste impossibili per permetterle di parlare e fare domande a figure femminili che non avrebbe altrimenti mai potuto incontrare: nasce così il libro Prato: donne e madonne, e vediamo Margherita parlare con Gae Aulenti e con la Baldissera, per esempio, dipanando la storia di Prato con un punto di vista che, probabilmente, non era mai stato affrontato. La storia ufficiale, per lo meno quella passata, l’hanno sempre scritta gli uomini.
“Margherita Datini era una bambina, o poco più. Aveva sedici anni – spiega Benucci – e arriva ad Avignone fuggendo da Firenze con la mamma, perché il padre è stato condannato per vilipendio alla repubblica fiorentina: sono non proprio in miseria, ma molto in difficoltà. Ad Avignone conoscono Francesco Di Marco Datini, un uomo maturo di 40 anni non sposato. Non è un matrimonio d’affari, è un vero matrimonio d’amore. La ragazza non sa ne leggere ne scrivere, perché a quei tempi le donne dovevano solo seguire casa e bambini. Francesco invece le insegna a leggere, scrivere e far di conto, e lei diventa la migliore socia che Datini abbia mai avuto. Credo che sia la più bella figura di donna pratese nel mondo dell’imprenditoria.”
“Questo libro è un omaggio alle donne, io sono sempre stato femminista convinto, e tutte le mie migliori collaboratrici sono sempre state donne -spiega Benucci – mi è venuto in mente che Margherita è una donna assolutamente sconosciuta, che invece ha influito in modo determinante nei successi di Datini. Non più Francesco, quindi, che va a fare le interviste, ma Margherita; non più interviste agli uomini ma interviste alle donne. Il libro ha due anime: una prettamente laica, con le conquiste sociali, le marce della pace, le rivolte, e una che comprende le grandi religiose, coloro che hanno davvero costruito grandi strutture qui a Prato.”
In questo senso si aggiunge un’altra grande passione di Pierfrancesco: la pittura: “Le Madonne sono anche intese in senso artistico: quella di Piero Della Francesca e Filippo Lippi, che sono stati i primi che hanno davvero raffigurato la Madonna in quanto donna, e non in quanto figura ascetica come faceva Giotto: basta pensare alla Madonna del Parto. Ci sono quindi due pezzi anche su questi artisti.”
Ci sono anche gli aspetti della prato industriale: imprenditrici e operaie: “Se è vero com’è vero che Prato nasce in val di Bisenzio, seguendo l’acqua e l’energia dell’acqua – dice Benucci – è dal Bisenzio che viene la classe operaia femminile. Orditrici, rammendine, ci sono figure che agli inizi del ‘900 svolgevano ruoli importanti. Ho cercato di rendere il giusto omaggio a tutta la classe femminile.”
Nel libro si parla anche di Gae Aulenti: “Ho avuto la fortuna di conoscerla personalmente e lavorarci: abbiamo realizzato uno splendido manifesto, lungo 7 metri e alto 10 centimetri. Questa splendida donna è riuscita a dare un’immagine della toscana che ancora oggi è di una modernità assoluta: ha messo in fila 120 fotografie della regione, ricostruendo gli ambienti a modo suo. Così troviamo gli archi del vecchio ospedale di Pistoia coi bassorilievi del Della Robbia, con sullo sfondo l’ospedale degli Innocenti di Firenze. Gae Aulenti è stata una delle più grandi innovatrici.”
Di figure al femminile, secondo Benucci, ce ne sono moltissime di grande valore “Una è la Bettarini, una ragazzina di 19 anni, appena diplomata al Cicognini nel 1910, che viene contattata dietro raccomandazione della direttrice del convitto dal vecchio Forti, al quale viene in mente di aprire una scuola per i bambini dei suoi dipendenti alla Briglia – spiega – erano tre ore di viaggio andata e ritorno a cavallo, la sera doveva tornare giù d’inverno, al buio. Ma lei decide di farlo, e per cinque anni è l’insegnante di questa scuola. E poi abbiamo scoperto per caso, frugando in un archivio fotografico della ditta Michelagnoli, che è la madre di Antonio Lucchesi, l’imprenditore.”
Il lavoro di ricerca dietro il libro è spaventoso: “Sono due anni di lavoro enorme, ma appassionante. Non finisci mai, da una cosa se ne scopre un’altra – dice Benucci – il 15 agosto, per esempio, siamo andati fuori a pranzo e alla tavolata c’era un signore anziano. Nel libro c’è un pezzo su Torbole, e parlo di un ragazzo, che chiamavano il Boccia, che portava l’acqua alle ragazze che lavoravano. Era lui, e mi ha raccontato altre storie che non sapevo: il pezzo era già scritto, altrimenti avrei potuto aggiungere altre venti pagine! E’ un signore del 1933, e a quel tempo aveva 15 anni. Queste storie, se non le scrivi ora, le perdi: la gente purtroppo muore. Non sono mai state scritte. Il più bel complimento me l’ha fatto Giampiero Nigro, mi ha detto: stai facendo un lavoro incredibile, perché queste storie non sono scritte da nessuna parte. Ora per lo meno c’è una traccia da qualche parte.”
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