È difficile parlare di interventi temporanei all’interno del Macrolotto 0 di Prato. In questo luogo la dinamicità legata all’incessante attività dei residenti e dei lavoratori si contrappone all’impassibile e densa staticità della sua forma urbana.
Il tempo stesso, una volta entrati nel quartiere, sembra perdere il significato che solitamente gli attribuiamo. Il quartiere sorge al di fuori di Porta Pistoiese, i primi insediamenti industriali vedono la luce a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Apparentemente in linea con molte altre aree industriali del paese, durante gli anni del boom economico si assiste a un periodo di crescita incontrollata. È così che prende forma il Macrolotto 0, fatto di capannoni e case tenuti insieme dal labirinto dei muri che delimitano le proprietà e i piazzali per lo scarico delle merci. Con l’abbandono progressivo del modello produttivo della micro-impresa, caratterizzato da una forte commistione tra ambiente lavorativo e abitazione, in gergo uscio e bottega, il quartiere si svuota pian piano a favore delle lottizzazioni industriali Macrolotto 1 e 2, pianificate ed equipaggiate delle infrastrutture necessarie alla media e grande industria.
Da questo momento in poi il Macrolotto 0 diviene oggetto di numerose speculazioni urbanistiche, architettoniche e antropologiche, argomento di innumerevoli tesi e corsi universitari. Sui tavoli da disegno questo tratto di città è stato immaginato più e più volte, numerosi progetti si sono susseguiti alla frenetica ricerca di un nuovo volto del quartiere, proponendo cambiamenti radicali e prevedendo nella maggior parte dei casi una consistente sostituzione edilizia.
In “Un progetto per Prato” [1], la mixitè teorizzata da Bernardo Secchi con specifico riferimento a questo luogo ha esercitato una certa seduzione su più generazioni di architetti. Tuttavia i risultati prodotti da questo interesse non tengono di conto, forse a causa del periodo storico ed economico in cui hanno preso forma, del valore intrinseco del quartiere e della sua immagine ben lontana da quei luoghi generici definiti come [2] non luoghi.
Città futuristica e futuribile o sterile quartiere dormitorio, il Macrolotto 0 è stato ripensato in tutti i modi, senza che mai se ne cercasse la vera essenza.
Demolizione ad ampio raggio e sostituzione incondizionata intese come medicine al degrado si sono dimostrate rimedi discutibili. Dovremmo forse chiederci cosa intendiamo per degrado e se quello che vediamo tutti i giorni in questo quartiere possa essere definito tale. La comunità cinese che lo abita, tra le prime in Europa per numero di abitanti, dirige uno dei distretti del pronto moda più grandi del vecchio continente. Il quartiere è uno dei luoghi più dinamici e autentici di tutta la città. Questo luogo di frontiera, dove tutto sembra possibile, presenta una forte contraddizione tra la dinamicità delle sue interazioni economico-sociali e le condizioni di vita a volte estreme, spesso legate alla presenza di una diffusa illegalità.
Il rapporto che la comunità orientale ha sviluppato con la strada e i luoghi di aggregazione è il frutto di una rara contingenza di fattori. Il modello europeo di piazza come luogo di incontro e socializzazione non trova un corrispettivo nel modello orientale dove le piazze sono luoghi di rappresentanza ed espressione di potere. In Cina all’interno degli hutong, nuclei storici o pseudo-storici costituiti da un tessuto edilizio consolidato, la vita delle persone si alterna tra strada e corti private in un continuo scambio di relazioni. Il continuo passaggio tra la sfera pubblica e la sfera privata, tra casa, corte e strada genera numerose situazioni di promiscuità.
In un quartiere come quello della prima periferia di Prato, dove la ghettizzazione e la mancanza di spazio pubblico mettono in luce un’assenza dell’intervento dell’amministrazione, si è potuto facilmente ricreare una sorta di modello cinese. Le persone si riversano per la strada e, data la totale mancanza di spazio pubblico e l’elevata densità dell’edificato, sono costrette in questo unico luogo di relazione e di incontro. Piccoli spazi di risulta, spesso marginali, diventano scenari senza alternativa di vita all’aperto. Non è strano imbattersi in persone sedute sui cordoli dei marciapiedi, persone che discorrono e passeggiano in un parcheggio, persone che in estate affollano le recinzioni di giardini privati per godere dell’ombra di una chioma d’albero sporgente.
Il reale degrado dell’area è da ricercarsi in questa grave mancanza alimentata dallo scherzo urbanistico che è stato il Macrolotto 0; è difficile aspettarsi da parte della cittadinanza la cura e il rispetto per la cosa pubblica quando la cosa pubblica di fatto non esiste. Per accrescere senso civico la comunità ha bisogno di luoghi dove ritrovarsi, di luoghi nei quali identificarsi e per i quali provare un senso di attaccamento e affezione.
Assistiamo oggi a un ritrovato interesse verso il tema dello spazio pubblico e per i luoghi della collettività, argomenti sempre più oggetto di studio e di sperimentazione nella città europea. Il periodo di incertezza creato dal protrarsi di una crisi tutt’altro che passeggera e la scarsa liquidità di molte pubbliche amministrazioni rendono la questione dello spazio pubblico, del suo progetto e della sua gestione un tema fondamentale. Oggi una delle massime espressioni di avanguardia nella progettazione è lavorare sui luoghi della comunità partendo da un buon processo di ascolto e coinvolgimento, fino ad arrivare alla determinazione di uno spazio in cui le persone possano immedesimarsi e ritrovarsi. In ragione di questa crisi possiamo affermare con un un velo di ottimismo che l’Europa non ha bisogno di guardare ai paesi in via di sviluppo come fucine di novità e di sperimentazione, ma può trovare un terreno fertile anche entro i suoi confini.
Proprio in virtù di queste ragioni il Macrolotto 0 è da considerarsi un quartiere laboratorio all’interno di una città laboratorio. La totale assenza di spazio pubblico, i notevoli problemi di inclusione sociale tra le comunità all’interno della città più multietnica d’Italia, la voglia e necessità di reinventarsi dopo un crisi strutturale che la vede come tra le più colpite a livello nazionale ne sono evidente testimonianza. Dal dopoguerra fino ad oggi lo smembramento delle proprietà delle grandi fabbriche in una miriade di micro-imprese ha creato una situazione di estrema parcellizzazione dei suoli, rendendo complesso e talvolta impossibile riuscire a progettare piani di recupero che interessino un numero sempre più alto di attori coinvolti.
Andare quindi a lavorare in modo discreto, attraverso una sapiente rigenerazione puntuale, lavorando sui temi dello spazio pubblico e dei contenitori vuoti da recuperare e rifunzionalizzare sembra la medicina giusta per questo tipo di problema. Questo è l’approccio utilizzato dalle associazioni presenti sull’area: [chì-na] e Dryphoto, nei rispettivi campi d’azione, hanno realizzato alcuni interventi sul territorio.
Piazza dell’immaginario nasce nel 2014 come progetto artistico a cura di Dryphoto arte contemporanea, con la curatela di Alba Braza. Il progetto è il risultato di un attento lavoro di ascolto portato avanti con la comunità, fondato sulla convinzione che ognuno ha il diritto di divenire parte del processo di riqualificazione e cambiamento. Il principio è quello di far uscire le opere d’arte dai musei e portare l’arte tra la gente, con l’obiettivo di rendere ogni singolo cittadino produttore di soggettività. Tra gli artisti coinvolti per la manifestazione, la coppia Pantani-Surace ha riportato su carta, con l’azione [3] La responsabilità dei cieli e delle altezze, un momento ludico e di aggregazione all’interno del quartiere. Dopo aver prodotto tre grandi stampi in legno, ognuno raffigurante un ideogramma cinese, i passanti sono stati invitati a saltare sugli stampi stessi imprimendo su carta, come in una xilografia, il messaggio “ti amo”. Le stampe sono state successivamente affisse sui muri della piazza.
Nel 2015 la seconda edizione di Piazza dell’immaginario ha visto arte e architettura lavorare a fianco. L’associazione culturale [chì-na] è stata coinvolta per curare il progetto dello spazio pubblico. La sfida era quella di trasformare un parcheggio di 800 mq in una piazza per il quartiere. La creazione della piazza si è rivelata un gesto semplice dall’impatto profondo, in una zona della città dove l’assoluta mancanza di spazio pubblico costituisce un problema quotidiano per le persone che la abitano. Proprietà privata del prospiciente supermercato PAM e un tempo recintata, l’area è stata utilizzata a lungo come parcheggio. In modo analogo a molti altri spazi nel Macrolotto 0, il confine tra carattere pubblico e privato non è mai stato ben chiaro. Grazie a una convenzione con l’amministrazione e alla volontà della proprietà di recuperare un luogo degradato è stato possibile aprire questo angolo di città ai residenti.
Il progetto ha visto la partecipazione di numerosi attori. L’amministrazione comunale, l’Associazione dell’Amicizia dei Cinesi di Prato e la Regione Toscana attraverso il Museo Pecci sono stati i principali promotori dell’iniziativa. Grazie al lungo e paziente lavoro sul territorio delle associazioni Dryphoto e [chì-na] residenti e lavoratori del quartiere sono stati coinvolti nel processo di realizzazione.
ll progetto ha trasformato in punto di forza le limitate risorse a disposizione, utilizzando direttamente i servizi offerti dagli sponsor. ASM Servizi e ASM Spa, aziende partecipate del comune di Prato per la gestione e il mantenimento delle strade e del verde, hanno direttamente eseguito la realizzazione del nuovo asfalto, fornito la vernice e le sagome per la segnaletica stradale orizzontale. Questi strumenti sono stati utilizzati per definire l’area di un nuovo spazio pubblico attraverso la realizzazione di un disegno a maiolica che copre l’intero lotto. L’arredo urbano è stato realizzato con materiali di scarto di un fabbro del quartiere e tronchi di cipresso caduti durante l’eccezionale tempesta del 5 marzo 2015.
Il successo di questo luogo, per quanto banale l’operazione possa sembrare, è stato di immediato riscontro. Migliaia di residenti per lo più cinesi si sono ritrovati nella piazza non ancora terminata per una festa di quartiere. Il solo atto di pavimentare e restituire l’area ai cittadini ha confermato il successo di un piccolo spazio a disposizione di tutti. Tante altre esperienze e manifestazioni svoltesi in Piazza dell’Immaginario testimoniano l’effettiva fame di spazio pubblico.
Questa novità ha innescato un processo di sensibilizzazione della comunità, in particolar modo di quella cinese. La possibilità di ritrovarsi dove prima non era possibile ha generato una sorta di simbolo attorno al quale gravitano tutte le manifestazioni temporanee del quartiere. Molte sono le prese di coscienza che a livello collettivo già stavano fermentando ma che hanno avuto possibilità di espressione solo una volta realizzata la piazza. La manifestazione contro la violenza, organizzata a causa di numerose aggressioni e furti subiti da persone appartenenti alla comunità orientale, costituisce un importante passo in avanti sia per le condizioni di vita del quartiere, sia per il superamento di barriere culturali che spesso hanno tenuto a tacere la popolazione cinese.
Una seconda importante presa di coscienza che sta crescendo all’interno della comunità riguarda invece il decoro. Nonostante la zona preveda, a differenza di altre parti di città, un doppio turno di ritiro della nettezza da parte di ASM, i cassonetti del Macrolotto 0 sono sempre straripanti di spazzatura. La piazza ha dato possibilità alla comunità, in prossimità di eventi importanti quali il natale e il capodanno cinese, di ritrovarsi per iniziative di pulizia urbana. L’associazione cinese del Cervo Bianco, scegliendo come punto di ritrovo la Piazza dell’Immaginario, organizza vere e proprie battute di pulizia all’interno del quartiere. Grazie all’impegno di Dryphoto e attraverso la vincita di un bando comunale per lavori socialmente utili, Piazza dell’Immaginario ha generato un posto di lavoro: Vincenzo de Caro, un muratore in pensione, si occupa della manutenzione della piazza e della pulizia del tratto centrale di via Pistoiese. Oggi, a bando scaduto, un condominio formato da 60 commercianti della zona ha preso in carico il mantenimento del servizio per il bene della comunità.
Più che un’azione a carattere temporaneo possiamo considerare l’esperienza di Piazza dell’Immaginario un intervento in divenire. La creazione di questa piattaforma ha permesso e continua a rendere possibile lo svolgimento di una molteplicità di eventi temporanei, alcuni nati anche in maniera del tutto spontanea. Nonostante questo il lavoro progettuale e di costituzione dello spazio è frutto di un lungo e a tratti lento lavoro. Il progetto tuttora non è da considerarsi terminato. Grazie al successo riscontrato e a nuovi finanziamenti si prevede l’inserimento di un sistema di illuminazione off-grid, sviluppato in collaborazione con Liter of Light Italia che vedrà letteralmente luce durante l’anno in corso.
[1] SECCHI B., Un progetto per Prato. Il nuovo piano regolatore, Firenze, Alinea, 1996.
[2] AUGÉ M., Non-lieux, Paris, Editions du Seuil, 1992.
[3] PANTANI-SURACE, La responsabilità dei cieli e delle altezze, Prato, Piazza dell’Immaginario, 2014
Piazza dell’Immaginario è un progetto di Dryphoto arte contemporanea, con la curatela di Alba Braza. Nel 2016 la seconda edizione della manifestazione ha visto il coinvolgimento degli architetti Cosimo Balestri, Emanuele Barili, Olivia Gori, Alberto Gramigni e dell’Associazione culturale [chì-na].
Emanuele Barili e Cosimo Balestri fanno parte di uno dei team finalisti per la realizzazione del parco urbano dell’ex ospedale di Prato.