I due appuntamenti che vertevano sulla presenza di don Mussie Zerai hanno retto nonostante il padre eritreo candidato al Nobel per la Pace non sia potuto esserci. Dovendo arrivare da Zurigo, dove vive, ha avuto vari problemi durante il viaggio e non è arrivato in tempo. In compenso, gli ospiti di entrambi gli incontri hanno dato il meglio portando il livello della discussione molto in alto.
In Salone Consiliare, la discussione sul diritto d’asilo e il sistema di protezione in Italia, organizzata da Arci Prato e patrocinata dal Comune è stata brillantemente sostenuta da Emilio Drudi, giornalista e scrittore, braccio destro di don Zerai, che ha interagito bene con i due avvocati presenti: Noris Morandi dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione e Arturo Salerni, avvocato che da sempre si batte per la difesa dei diritti umani. Una delle battaglie più famose di Salerni è quella intrapresa con Pisapia, l’attuale sindaco di Milano, con il quale difese Ocalan del Pkk, mentre adesso è pedina fondamentale nel processo Condor, contro gli aguzzini della dittatura argentina responsabili di migliaia di desaparecidos, molti di questi italiani.
Il ragionamento è partito da una constatazione, l’esistenza di 62milioni profughi al mondo, una cifra che supera sia quella relativa alla popolazione italiana che il numero dei profughi che si contavano all’indomani della seconda guerra mondiale. Le cause sono ecologiche, economiche, climatiche e belliche. E questo non è, dunque, che solo l’inizio di un problema che non andrà che crescendo. Quale la politica adottata dal nord del mondo?
Respingimenti e barriere. Che non servono a nulla, perché i disperati hanno la stessa forza e consistenza dell’acqua: un varco da cui passare lo trovano, devono trovarlo per non morire. I vari accordi bilaterali, poi diventati dell’Europa tutta con i vari Stati da cui la gente scappa non hanno che riconfermato una politica miope e brutale: soldi in cambio di muri e respingimenti a priori, spesso basati sulle nazionalità. “Basta rammentare gli accorgi di Karthoum e Malta in base ai quali finanziamo brutali dittature come il Sudan e l’Eritrea, in cambio del loro aiuto a bloccare i profughi alle loro frontiere. Anche solo prima di Natale, 200milioni di euro sono stati dati come incentivo economico all’Eritrea, per poi scoprire come questi servono per compiere indagini su gas e petrolio. Qui si stanno facendo affari sulla pelle della gente con dittatori che fanno sparare a vista contri i ragazzini”, ha incalzato Drudi.
“Se dobbiamo fare un bilancio del 2015 ma anche il 2014 non si può che giungere alla consapevolezza del fallimento del diritto asilo Unione europea”, ha infatti precisato l’avvocato Morandi. “Stiamo assistendo al fenomeno contrario alla garanzia del diritto d’asilo sulla quale è basata la nostra civiltà: sospensione di Shengen, chiusura delle frontiere interne e impedimento alla libera circolazione. Risultato di un sistema che fin dal principio aveva difetti strutturali che si sono manifestati da subito. Il regolamento di Dublino, per esempio, è da sempre inadeguato perché non consente al migrante forzato di scegliere lo stato in cui presentare la domanda d’asilo e impedisce così i ricongiungimenti familiari e di nuclei comunitari. Ma l’Unione Europea non ha mostrato nessun tipo d’apertura fino ad arrivare alla pessima decisione degli hotspot”. La negazione del diritto d’asilo mette in discussione le radici stesse della nostra civiltà, il nostro modo di stare insieme.
“Sono 25000 i migranti morti negli ultimi anni in questo specchio di mare che è il Mediterraneo. Nel 2015, 4000. Dal 1 dell’anno a oggi sono già 168. E molti di questi sono desaparecidos, i nuovi desaparecidos – precisa l’avvocato Salerni, che ha fondato il Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos -. Il diritto della persona che non può vivere più nel proprio paese a non essere respinto è sancito dall’art. 10 della nostra Costituzione, che di contro garantisce il diritto di fuggire. Per questo nasce il Comitato, per far sì che qualcuno paghi per queste morti. Vogliamo una Norimberga anche per questa immane tragedia. Assistiamo a omissioni costanti e significative di fronte a chi sta morendo. La prima responsabilità è legata al non creare corridoi umanitari da quei paesi in guerra dove è impossibile vivere. Come ci sono responsabilità in quegli accordi – in primis quello stretto con Gheddafi nel 2009 – che imponeva di far morire lontano dagli occhi tutti i migranti che avrebbero voluto salpare dalle coste libiche per arrivare in Italia. E ancora: quanti morti in più ha determinato l’abolizione di Mare Nostrum?”
Quindi un focus sugli hotspot, dove la Morandi ribadisce come non ci sia una norma comunitaria che stabilisca come devono essere questi luoghi. “Abbiamo chiesto al Ministero dell’Interno di dare chiarimenti come Asgi, perché questo sistema non sta funzionando. È nato per facilitare il ricollocamento, ma da quando sono state adottate le decisione i ricollocati sono stati 180. Dall’Italia 100. Dalla Grecia 80. E la situazione è drammatica”. E tutto ciò a pochi mesi dalla sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo che ha condannato l’Italia per la detenzione illegale di cittadini tunisini a Lampedusa dopo gli sbarchi del 2011 seguiti alla Primavera Araba, senza che sia stato loro notificato il motivo. Una condanna che comprende anche le condizioni inumane del centro di accoglienza di Lampedusa.
Una discussione alta, a cui è seguito, alle 21 nella sala ovale di Palazzo Buonamici, il confronto organizzato dai Giovani Democratici e dalla Federazione degli studenti di Prato fra il rabbino capo di Firenze, Joseph Levi, e Izzedin Elzir, presidente Ucoii e imam di Firenze. Due i cardini intorno ai quali si è svolta l’intera serata di fronte a una platea gremita e giovanissima. In primis, l’imam Elzir ha ribadito con particolare forza che le azioni terroristiche non si possono giustificare in nome dell’Islam: quando uno uccide, uccide come uomo non perché credente. Il fatto che nessuna guerra sia mai stata veramente una guerra di religione, bensì sempre una guerra di potere e interessi, è stato il filo conduttore della discussione. E in secondo luogo, entrambi hanno in ogni momento riconfermato la loro massima apertura al confronto e al dialogo.
Foto di Francesca Brusori