Un’iniziativa incredibile ha segnato l’underground di Londra quest’anno il 7 Febbrario 2013, per celebrare il 150esimo anniversario della metro.
150 anni di viaggi sotto le strade di una delle città più complesse d’Europa, una città sotto una città, un’Atlantide che nasconde le gioie della velocità e i dolori delle ore di punta dal momento in cui la tua oyster (biglietto elettronico dei londoners nda) entra nel ‘labirinto’ e ne esce. Senza segnale per il cellulare o wi-fi (almeno fino a quest’anno), un pendolare medio a Londra sa che dal momento che entra fino al momento in cui uscirà, non avrà contatti col mondo esterno se non con gli altri ‘compagni di viaggio’ del momento. Non è un caso il solito crocchio di persone all’ingresso di una metro, a mandare gli ultimi messaggi prima di entrare nel tunnell, o appena l’overground (underground elevata, di recente acquisto nel portfolio della metro) appena tocca il sole e le case nei finestrini, molti dei passeggeri riprendono contatti con il mondo telematico abbandonato poco prima.
Ed è proprio di ‘Labirinti’ che Mark Wallinger, artista britannico contemporaneo, ha deciso di occuparsi nel celebrare questo anniversario. L’artista, già collaboratore con Tate Modern Museum, il museo di arte contemporanea più importante e rinomato a Londra, ha installato su commissione 270 unici quadri di labirinti nelle 270 stazioni principali della London Underground.
Il risultato è naturalmente soggettivo, ma incredibilmente originale. Tanto da non passare inosservato nemmeno nelle ore di punta della giornata, essendo ovunque, e denso di cenni storici ai famosi labirinti della storia, delle leggende, sino ad arrivare ai più recenti artisti e musicisti inglesi come David Bowie che dal film omonimo segnò una svolta nella regia cinematografica surreale e nei musical – tanto cari e importanti nei teatri londinesi.
Come lessi un paio di mesi fa sul London Evening Standard, ad opera di un critico artistico:
Come ci insegna la storia, la difficoltà nel superare un labirinto non si trova certo nella sua complessità a metà percorso, quanto nel trovare l’intraprendenza necessaria per cominciare il cammino. Se c’è un’entrata, ci sarà anche un’uscita.