Mi stavo chiedendo cosa ci facesse Richard Branson, il magnate della Virgin, all’Exenzia: sarà qui per investire in questa città, laboratorio di qualsiasi cosa? Ci sarà in ballo un progetto legato al mondo dei media e alle avanguardie nel campo della comunicazione? Qualcosa che riguardi l’ambito musicale, fra innovazione e futuri scenari possibili?
C’è un sacco di gente in coda alla cassa, quasi tutti uomini che sembrano redneck usciti dal gruppo ‘Sesso, Droga e Pastorizia’, alcuni con rotoli di carta igienica e altri oggetti in mano, assolutamente in contrasto con l’ambiente che mi prefiguravo per questa conferenza. Ecco, ho capito, non ci sarà nessun incontro con Richard Branson, piuttosto sono finito ad uno show di Richard Benson, cioè ad una rassegna ben più raffinata sul postmodernismo musicale. Ormai che sono qua, voglio proprio dare un’occhiata, visto anche l’incredibile fermento all’ingresso. All’interno il pubblico è già schierato nelle prime file come in attesa di un idolo assoluto, se non fosse che si trovano lì perché vorranno semplicemente guardare il freak in faccia mentre lo insulteranno pesantemente, sfogando i propri istinti più animaleschi.
Richard Benson infatti è un personaggio solo parzialmente legato alla musica, il giovane metallaro quale fu, ha nel tempo lasciato spazio ad un comico e demenziale ospite tv, caricatura di se stesso e di un mondo che ama alla follia il trash, il brutto e la volgarità totale. Il palco è completamente “impacchettato” come fosse un’opera di Christo, con lo scopo ben preciso di proteggere Benson dal lancio di oggetti che gli verranno scagliati contro, come in ogni suo show. L’attesa è palpabile, mentre scorrono vecchi successi metal fra mille air guitar, scatta il coro “Frocio! Frocio!”, ma del chitarrista romano nessuna traccia. C’è veramente tanta gente quanto in sala è elevato il tasso “Vietato Scopare”, anche perché comunque le ragazze sono rimaste a casa a leggere la ‘Critica Della Ragion Pura’ di Kant, probabilmente.
Ormai sono curioso anch’io di vedere all’opera questo parruccone, sarà un po’ come assistere a Wanna Marchi e la sua band grind, ma niente da fare, l’attesa si prolunga, di conseguenza parte il coro “Stronzo! Stronzo!”. Il richiamo è talmente forte e invitante che Benson si fa finalmente accompagnare sul palco, perché da solo non ce la fa più a spostarsi neppure per pochi metri. La sua condizione fa piuttosto pena, tanto che il pubblico lo accoglie con i peggiori insulti e lanci di ortaggi vari: fortuna che pure le casse dell’impianto sono state incellophanate. La gabbia resiste all’urto, lo show inizia in tutto il suo nichilismo: Benson e la moglie Ester (ai bonghi) distruggono alcuni classici storpiandoli, da ‘L’Isola Di Wight’ fino ad ‘Another Brick In The Wall’, alimentando il bullismo ubriaco e testosteronico degli spettatori, i quali vogliono però ascoltare più che altro i racconti di Benson.
Il cabaret è fatto di barzellette bruttissime e racconti sconclusionati, il sessantenne malconcio protagonista dello show è il capolinea di un treno senza conducente, e lui stesso fra una battuta e l’altra risponde col sorriso alle offese dicendo: “Voi siete me”, mettendomi pure una certa angoscia addosso. Benson è un troll, una trappola per gente che offende se stessa, penso. La corpulenta signora Ester inizia a “cantare” ‘Oh Sole Mio’ tra i fischi, finché al coro “Nuda! Nuda!” decide di spogliarsi, pardon, di uscire le minne, e regalare qualche minuto di nudismo che avrebbe bloccato la crescita a chiunque.
C’è così tanta calca che non riesco neppure a vedere cosa succede sul palco, non mi capitava da anni, e questo da una parte è un po’ triste e inquietante, perché dà piena ragione a Benson: alla gente piace lo schifo. Al grido “Devi morire! Devi morire!” lo spettacolo prosegue, mentre ai piedi del palco si sta accumulando un bel po’ di spazzatura lanciata dal pubblico. Prima di chiudere con l’ultima sua hit, ‘I Nani’, Richard Benson carica la folla, facendola esplodere tutta insieme al grido di una famosissima bestemmia.
Praticamente un trionfo, uno stupendo suicidio di massa, una conferenza di sociologia sul metalinguaggio e lo stato dell’arte, un allegro raduno di Michele Misseri e altri trattoristi, l’angosciante, sfavillante e delirante apoteosi della favela che alberga in noi.