Era su La7 l’altra sera, a Piazza Pulita, con la delegazione pratese dei giovani del Pd infuriati con la dirigenza. Ma non ha parlato. Anzi, ha deciso di non prendere il microfono.
Poi Matteo Prussi, 32 anni, è tornato a Prato e si è dimesso dalla segreteria provinciale del Pd insieme ad altri sei colleghi. Deluso e un po’ arrabbiato, ci spiega una scelta dalle mille sfaccettature.
Prussi, che è successo?
“Mentre ero lì che ascoltavo i miei colleghi e Orfini e Sallusti, all’improvviso ho avuto l’impressione che si continuasse a parlare di cose poco importanti. E’ stato opprimente. Come se ci s’ostinasse a ragionare di quanto sia verde la chioma d’un albero mentre le radici sono ormai tutte seccate. Tutti a discutere di questo fantomatico risiko interno al Pd mentre io ho l’impressione che adesso, qualsiasi accordo verrà fatto, sarà un accordo che lascerà fuori dalle prospettive politiche una bella fetta di persone. La politica è un mezzo, mica un fine. E quindi secondo me è inutile, usando un’altra metafora, decidere di prendere la moto per andare in vacanza quando ancora non s’è deciso dove andare in vacanza”.
Ovvero?
“Ovvero, qualcuno mi dica quali proposte concrete per l’Italia stanno facendo i partiti in questo momento. Hanno smesso tutti, compreso il Partito Democratico. C’è una totale scollatura tra la vita quotidiana e la politica, che poi non dovrebbe essere altro che una chiave interpretativa della realtà. E’ come se mentre stai cuocendo la pasta ti metti a discutere di antimateria. Magari è divertente, però rischi di morire di fame”.
E quindi, vista la situazione, Matteo Prussi si è dimesso dalla segreteria provinciale del Pd.
“Bersani ha combinato un casino storico e le mie dimissioni sono un atto di responsabilità nei confronti di tutte quelle persone cui avevo detto che il Pd era il miglior progetto politico possibile. E poi è anche un segno di discontinuità. Discontinuità necessaria anche come modo di porsi, che come segreteria non siamo stati in grado di mettere in pratica. Poi è chiaro che dimissioni di massa come quelle di ieri non nascono così su due piedi, ma sono l’esito di un percorso politico che si è sviluppato nel tempo e che adesso è arrivato alla fine. Peccato perché anche questa poteva essere un’occasione, invece è stata vissuta e interpretata solo come l’ennesimo momento di difficoltà”.
In che senso, mi scusi?
“Nel senso che il Partito Democratico ha qualche problema nei rapporti interpersonali, che non sono mai facili. Il fatto che dopo le mie dimissioni nessuno o quasi mi abbia chiesto nulla, per esempio, secondo me non è per niente salubre. La verità che abbiamo paura del confronto e dell’opinione degli altri. E lo scontro interno al Pd non è per niente una questione generazionale, anagrafica. Non bisogna fraintenderlo. Lo scontro è solo culturale e di come si intende il dialogo in politica.
Programmi per il futuro?
Continuerò fare quello che mi piace fare in un partito: mettere a disposizione le mie competenze in un settore, quello energetico, che sono convinto possa contribuire a migliorare il futuro della mia città”.