“Per fare un tour musicale in Italia son dovuto andare a vivere a Londra”.
Quando un paio d’anni fa rivolsi con tono scherzoso questa frase ad un mio caro amico, mi accorsi subito della pesantezza che si celava dietro un’apparente battuta. E ne fui immancabilmente ammaliato.
Sono Davide Lufrano Chaves, musicista nato e vissuto a Prato, di padre lucano e madre costaricense e da 4 anni circa vivo a Londra. Il toscano meno toscano che potrete trovare la mattina a prendere il caffè al bar della piazzetta dantesca di turno – tanto per intendersi!
Settimana scorsa ho festeggiato il mio 30esimo compleanno. A modo mio, naturalmente: suonando. Ho avuto 3 concerti di fila, questa settimana ne attendo altri 5, e la mia vita scorre via velocemente.
In una delle città più costose d’Europa, dove chiunque è il benvenuto ma nessuno è gradito, dove puoi arrivare a spendere per i trasporti quasi quanto spendi d’affitto per la tua cameretta, dove tutti rimangono eternamente giovani e puoi provare realmente sulla tua pelle l’effetto ‘circondato da folla ma solo nel proprio mondo’.Dove il rispetto per il lavoro è tangibile ed è impossibile non elogiare i mezzi di trasporto rispetto al sud Europa. Londra è una città sempre magica e terribilmente frenetica.
Mi piacerebbe parlare con gaudio di ogni valore aggiunto del vivere all’estero, ma dopo diversi anni e una conoscenza più profonda, vedi il tuo percorso come un normale processo di maturazione, niente di più. Faccio un passo indietro: all’estero di cosa poi? Avete scelto di nascere lì, parlare quella lingua o fare parte di quelle tradizioni? La prima afflizione dell’essere umano è la pigrizia, mentale e conseguentemente pratica. Poche domande su stessi, limitato percorso introspettivo, un normale adagiarsi su situazioni pseudo-stabili e un’autocritica mediocre da brividi.
Smonto il concetto di base: per stabilità di un sistema si intende la sua capacità di mantenere le sue grandezze in uscita entro valori limitati a fronte di variazioni limitate delle grandezze ai suoi ingressi. Ecco, una definizione che usa due volta il verbo ‘limitare’ già mi suona noiosa. Come un ritornello troppo prevedibile, una successione armonica scontata, un brano che non aggiunge e non toglie niente alla vostra bilancia d’esperienza. Eppure nella semplicità regna il segreto della vita, vero, ma non certo nella stupidità. E niente giustifica la superficialità.
Vorrei poter dire che Londra, nel mio caso, ha rappresentato la chiave di volta di un processo musicale, ma direi che supportato è la parola più giusta. Quanto cambia il senso di una sola parola? Infiniti oceani di speranze, d’amore, di guerre evitate e vite non rese vane. Come ogni buon musicista cui piace giocare con le note, non posso esimermi dal rimanere affascinato dall’immenso gioco della comunicazione.
Londra ha solo colorato (di grigio, maledetto clima inglese!) qualcosa che era già inserito nel mio contesto lavorativo. Poteva essere Singapore, New York o Parigi, avrei tratto il meglio che potevo e poi avrei fatto altre scelte.
Come ho fatto in Italia, dove ho concluso anni fa il mio processo di studio e sono andato avanti. Penso alla figura del seminatore, che con costanza rispetta i tempi della Natura (la propria in questo caso) e poi lascia il campo al collega o al figlio dopo aver fatto il suo tempo.
Detto ciò, rispetto fortemente chi rimane nel proprio paese natale per cambiare le cose dall’interno. Basta sapere perchè stiamo facendo quelle cose. Non era il mio percorso, ma devo ammettere che ogni volta che torno in Italia non vedo l’ora d’incontrare quelle persone che seguono costruttivamente le proprie convinzioni e che magari si sposano giovanissimi, mettono su famiglia a scapito di ogni moda o creano nuovi tipi di confronti mediatici o reali e con positività si tirano su le maniche. Proprio ieri sera ho salutato per i prossimi 6 mesi il mio migliore amico che parte per un’altra enorme avventura in Bulgaria, e quando al sentimento della malinconia si mescola quello dell’augurio di un più sincero benessere, nonostante la distanza, sai che sei sulla buona strada.
Ho finito il Conservatorio in chitarra classica vecchio ordinamento (10 anni nda) quando avevo 25 anni circa, un mese dopo ero a fare una collaborazione musicale in Germania, tre mesi dopo mi ero trasferito in Inghilterra. Avevo contemporaneamente rinunciato ad un impiego statale in Italia che mi era stato proposto per l’anno successivo, e avevo paura. Paura di non riuscire. La paura è uno stato d’animo naturale da rispettare, perchè nella giusta misura ci ricorda entro quali limiti stiamo lavorando.
Se avessi la bocca farcita di belle parole, potrei dire che questa società inglese è perfetta, come purtroppo spesso recita ogni turista dopo tre giorni di visita. Ma in questi anni sono più le persone che ho visto ‘cadere’ e tornare in patria con la coda tra le gambe di quelle che sono riuscite a raggiungere il proprio obbiettivo.
La chiave di volta è solo chiedersi ‘Perchè sto facendo questo? Dove ero-dove sono-dove sarò?’ e darsi risposte oneste. Il resto verrà da sè con la magia del nostro cervello e non avrà più importanza dove abitate geograficamente, chi siete o cosa fate. Conterà solo come lo fate.