Lee Ranaldo non è un calciatore metrosexual, ma un artista che ha scritto la storia della musica contemporanea a partire dagli anni ’80, quando insieme ai Sonic Youth iniziò a sperimentare ed esplorare nuovi orizzonti. Molti si ricorderanno di questa band solo come la preferita di Kurt Cobain o come l’ennesimo gruppo forzatamente inserito sullo scaffale del grunge anni ’90, ma che in realtà è stato molto di più.
I Sonic Youth, sotto la spinta creativa di Lee Ranaldo, presero vita dalla corrente no-wave, una costola del punk rock anni ’70, in contrapposizione alla new-wave oggi tanto esaltata come musica alternativa, che invece in quegli anni sarebbe stata più o meno robetta da MTV. I Sonic Youth distrussero le classiche strutture delle canzoni e Ranaldo fu un genio della chitarra, creandone modelli unici e modi di suonarla assolutamente alternativi. Ancora oggi i Sonic Youth, scioltisi nel 2011, sono fra le band più rispettate al mondo, avendo evitato negli anni di cadere nel vortice effimero del commercio, ma anzi dimostrando grande coerenza. Non rimasi affatto sorpreso quando vidi al MoMa di New York il loro primo disco esposto come opera d’arte contemporanea. Per fortuna già da ragazzino sapevo riconoscere certi valori, e nel 1998 andai a vedermeli in concerto; da allora non mi è più capitato di incontrare nuovamente Kim Gordon o Thurston Moore, neppure al Settembre Pratese o al mercato del lunedì, ma finalmente stasera so dove beccare Lee Ranaldo, in concerto come solista.
L’idea di andare al concerto di Lee Ranaldo cozza con quella di dover raggiungere il centro di Firenze, un luogo nemico dell’umanità senza visto turistico e dotato di auto, unico mezzo possibile per raggiungerlo. Proprio come previsto, appena passato l’Arno è tutto un groviglio di SUV mischiati a vicoli medioevali, finché addirittura non ci imbattiamo in un autobus incastratosi in qualche modo a bloccare la strada, una delle tante pensate secoli prima per le carrozze, al massimo. Finalmente riusciamo a liberarci dal fecaloma e riprendiamo la ricerca di un divieto di sosta libero in questo grande intestino tenue di pietre e asfalto. Niente, finché decido di lasciare la macchina inerpicata su un marciapiede a casaccio. Dopo svariati minuti di cammino arriviamo alla Sala Vanni, ma è chiusa ed il panico ci assale. Alla fine capiamo che l’ingresso è dall’altro lato rispetto al solito, cioè dal varco accanto al Ser.T. di Piazza del Carmine, l’unico Servizio per le Tossicodipendenze patrimonio dell’Unesco.
La sala è strapiena, l’atmosfera creata dalla solennità del posto, così affrescato e suggestivo, è l’ottima cornice ad un concerto intimo, che un uomo terrà per duecento fortunati col solo aiuto di una chitarra e della sua voce. Il palco è minimale, dotato solo di una sedia da ufficio ed un tavolino Lack Ikea bianco da 7,99 €, su cui Ranaldo appoggia un bicchiere di plastica pieno di vinaccio. Si presenta molto informale e amichevole, con una cofana di capelli bianchi. Pino Daniele! Dice qualcuno. Lui non sarebbe così furbo da morire in Autogrill, rispondo io. Me lo ricordavo con i capelli scuri, un quarantenne a cui avrei voluto assomigliare, oggi un sessantenne a cui vorrò ancora in futuro assomigliare. Un impatto sicuramente emozionante, che mi smuove un sacco di ricordi. Il pubblico è attentissimo e in rispettoso silenzio, ascolta le storie che Ranaldo racconta lungamente prima di ogni pezzo, rendendo davvero partecipi le persone del significato che c’è in ognuno di essi. Storie di vita, aneddoti, situazioni della New York degli anni ’70, la voglia di cambiamento, dell’essere un rivoluzionario, tradotte poi in musica in maniera magistrale, anzi di più. Il suono metallico delle sue chitarre acustiche rimanda accordi che inconfondibili ricordano i Sonic Youth; canzoni facili da seguire, quanto complesse nell’esecuzione, oltre che nel significato.
È facile aspettarsi da un concerto del genere qualche momento di stanca o di noia, invece Ranaldo rapisce come neanche l’Anonima Sarda negli anni d’oro. Suona da dio, crea non solo armonie, ma anche quel caos vitale e potente che fece la fortuna dei Sonic Youth, questa volta però col solo ausilio di una chitarra acustica, suonata in ogni modo, anche con l’archetto e presa letteralmente a schiaffi. Questa non è una messa cantata, le corde si spaccano sotto i colpi inferti sapientemente da Ranaldo. Un concerto che turba positivamente e impressiona, consapevoli come siamo tutti qua dentro di essere di fronte ad un gigante della musica, che ci regala uno show di ben un’ora e tre quarti, ripercorrendo i suoi album solisti e inserendo anche un omaggio a Neil Young. Lo show termina tra scrosci di applausi per un uomo che appare così leggendario quanto contraddistinto da una grande modestia.
Il pubblico defluisce dalla sala, fra loro neanche un ventenne purtroppo, ma solo persone dai trent’anni in su, che spero riusciranno a far apprezzare certa musica di qualità e rilevanza culturale ai propri figli.
Ci vorrebbe uno spot, qualcosa che insegnasse come certa musica consente pure di risparmiare parecchio sulla droga.