L’ecstasy e l’oratorio, le notti in discoteca, la cocaina e le fidanzate, lo spaccio, i debiti e la famiglia a pezzi, il crack. Andata e ritorno dalla dipendenza di Michele (il nome è di fantasia), pratese di 23 anni, che da qualche tempo lotta da solo per uscirne e farsi davvero una vita che valga la pena di essere vissuta. Michele ha bisogno di raccontarla questa battaglia, di vedersi negli occhi dei suoi ascoltatori e di chiudere il racconto con un sorriso. Per il momento ce la sta facendo: da solo c’è entrato, da solo vuole uscirne. “Se poi questa storia può esser d’aiuto a qualcuno, tanto meglio – dice – io so solo che non voglio arrivare al punto di non avere nulla”.
1. Dove Michele prova per caso, il caso diventa abitudine e poi arriva l’amore.
“Ho provato per la prima volta l’ecstasy nel 2006, avevo 15 anni – comincia – in gita in Versilia con il dopo cresima, scappammo dall’albergo per andare a ballare in discoteca. Presi una Mitsubishi bianca, così si chiamava la pasticca. Quella fu la prima volta, ma fu quasi un caso perché per alcuni anni non ho preso altro”. Se c’è una cosa che questo ragazzo è riuscito a fare, è rimettere in fila tutte le cose della sua vita, le cause e gli effetti, le cose pubbliche e le cose private. Scandisce i tempi con precisione, collega eventi, spiega dinamiche, usa termini medici. Insomma, sembra conoscersi bene e in lui si intravede un qualche tipo di disciplina: non solo adesso che sta cercando di uscirne, anche prima, mentre infuriava la sua passione per le droghe. “Il segreto è la moderazione e l’attenzione a non mescolare le sostanze – spiega – all’inizio non ti fai domande, e finisce che fai tripletta in una stessa sera, cioè prendi tre pasticche una dietro l’altra come mi è successo a capodanno 2010. Una cosa da idioti. Invece ne basta una, una e basta e senza alcol per stare bene tutta la notte. Però può succedere anche un’altra cosa – aggiunge – può succedere che queste cose ti prendano la mano per un milione di motivi diversi. È quello che è successo a me. Da quel momento è cominciato davvero tutto. Ad inizio 2010 mi ero fidanzato con una ragazza – prosegue Michele – stavo bene. Avevo anche smesso di andare in discoteca tanto per fare un esempio. Una sera però, era l’autunno 2012, la trovo con un altro. Io mi sono sentito male: sono svenuto ed è stata una cosa tremenda (china la testa). Una delusione d’amore e per 11 mesi non sono stato in grado di riprendermi. Nel senso che non riuscivo nemmeno ad avvicinarmi ad una ragazza, stavo male dalla mattina alla sera. Quando poi mi sono ripreso – conclude – era tutto diverso”.
2. Dove compare la cocaina e Michele fa crack.
E’ l’inizio della discesa, quella vera. “Dall’uso all’abuso è un attimo”, dice. “Verso la fine del 2012 torno a frequentare le discoteche, vado in trasferta, faccio serate in giro per l’Italia – racconta – tornano anche le pasticche e soprattutto arriva la cocaina, tanta cocaina. Sono arrivato al punto di non muovermi di casa senza la sicurezza di avere a portata di mano un po’ di cocaina e di mdma”. Le facce delle sue serate danzanti le porta ben custodite nel cellulare. Sono foto che gli hanno fatto i suoi amici. Ne mostra alcune e per un attimo sorride, poi torna serio. “La cocaina non ti basta mai, ti fa sentire più ricettivo, ti rende più lucido. Cominci con un palino da sniffare, poi passi al pallino, poi compri due pallini, poi ne compri tre, poi quattro e così via finché non cominci a fumarla. E lì sei davvero fregato”. Il 2013 è stato l’anno della fine di Michele, o quello della consapevolezza. Sono i dodici mesi che vuole raccontare a tutti i costi ma di cui farebbe volentieri a meno, e per un sacco di motivi. “Con il crack non sei più un essere umano, non c’è altra definizione. Diventi un tossico vero e proprio, dimagrisci perché soddisfi solo il bisogno fisiologico del tuo corpo, non te ne frega più niente di niente, non hai più stimoli sessuali perché è quello il tuo unico piacere ed è il tuo unico piacere perché è una botta stupenda. In realtà è un inferno: ti si spezzano i denti (ne mostra uno) e anche i polmoni non funzionano più come al solito. E poi “smatti”, vai in paranoia. Ci sono stato dentro sette mesi – dice Michele – e ho fatto cose di cui mi vergogno”. Ora che è lucido e si ripensa, non ha alcuna pietà di se stesso. “Con il crack ti chiudi in un angolo o in una cantina, ti metti a cucinare con bicarbonato o ammoniaca e poi fumi, fumi ed esiste solo il fumo. C’è solo il rituale del tossico: preparazione, consumo, preparazione, consumo. Niente ti interessa di più che cercare qualche scaglia che tu pensi sia andata perduta durante la preparazione. E quella convinzione è il crack che ti sta mangiando il cervello”.
3. Dove lo spacciatore sceglie la terza via
“Poi arriva il momento in cui finiscono i soldi e ti metti a spacciare”. Se qualcuno si chiedesse come si fa a diventare spacciatori a Prato nel 2014, e come è probabile accada in tante altre città, Michele spiega che è facilissimo, o almeno è stato così per lui. “La cocaina costa 50 euro ogni mezzo grammo – racconta – e un giorno io chiesi al mio spacciatore quanto me la metteva al grammo. Fu una cosa automatica, non ci fu bisogno di parlare troppo. Lui capì subito quello che volevo fare e cominciò così”. E in poco tempo i libri di testo del professionale che aveva abbandonato vennero sostituiti dal bilancino di precisione e da altri attrezzi del mestiere. “La cocaina si taglia con il bicarbonato, ma brucia e la gente se ne accorge, così è meglio tagliarla con lo Zerinol o l’enterogermina – racconta – da 10 grammi di cocaina si possono fare 22 o 23 palline”. Ma il business è più difficile di quel che pensa. “Non sono mai stato beccato ma quello che ha incasinato tutto è che più ne compravo e più ne consumavo, invece di rivenderla. Così sono arrivati i debiti, la vendita dell’oro della comunione e della cresima, i furti in casa mia”. La situazione degenera un giorno imprecisato del settembre 2013. Dopo sette mesi di crack e di spaccio, di visioni e paranoie, Michele tocca un punto che lo terrorizza. “Una sera sono rimasto di fronte alla finestra di camera mia per due ore, immobile e in preda al panico perché credevo di sentire le sirene della polizia che mi stava venendo a prendere – racconta – ma a settembre, per la prima volta, mi sono sentito davvero male. Ho fumato ininterrottamente dalle 11 di sera alle 6 di mattina e alla fine sono collassato. Quando mi sono svegliato, molto tempo dopo, ho pensato che se continuavo in quel modo avevo solo due strade da percorrere: una che portava al cimitero e una che portava in galera. E lì ho detto basta. In una settimana ho saldato tutti i debiti, me ne sono tirato fuori e ho cominciato a lavorare sull’abuso”.
4. Prato: la cocaina è ovunque e i ragazzini non sanno quello che fanno.
Al Sert non è voluto andare: “Ti danno il Subotex, che praticamente è la stessa cosa, e poi non esiste un programma personalizzato e quindi non sei seguito come dovresti – dice – sarebbe meglio andare da uno psichiatra, che può seguirti passo passo. Ma io è una vita che vado da gente del genere e per il momento voglio provare da solo”. Da solo, Michele ha smesso con il crack, “anche se il richiamo è forte – spiega – e ricaderci è un nanosecondo”. E se dal 19 luglio non tocca sigarette, sul resto sta lavorando concedendosi qualcosa “una volta ogni quindici giorni, massimo una volta a settimana”. Il vero problema per lui adesso, è la gente che incontra. “A Prato la cocaina è ovunque – dice – dal centro a Maliseti passando per San Giusto e su fino a Vaiano, la puoi trovare ovunque senza sforzo. Poi vai a ballare e anche lì c’è gente di merda (che si droga ndr). Allora incontri una ragazza di Prato, ha 18 anni e ti piace parecchio. Ma ti accorgi subito che pensa ad un’unica cosa, che poi è l’unica cosa cui non vuoi pensare te: la cocaina. Così l’ho mandata per la sua strada e penso che oggi il modo di drogarti lo trovi sempre e ovunque e che è difficile, molto difficile farne a meno. I Club Dogo mi hanno aiutato molto, in “Cocaina” raccontano in modo molto preciso cosa succede, è tutto vero e il risultato è che se ti fai di cocaina sei solo un coglione. Però ho conosciuto ragazzini del 1997 o 1998 che dalle sigarette sono passati direttamente alla cocaina – racconta – Non sanno nemmeno quello che prendono, che effetti ha, quali danni può provocare. E poi mescolano anfetamina e cocaina con alcol e altra roba: è allucinante. Una volta ho incontrato un ragazzino di 15 anni che ha preso un grammo di mdma con una vodka: è da completi deficienti fare una cosa del genere. Anche per drogarsi ci vuole un minimo di cervello ”, sostiene Michele.
6. Una famiglia, via dall’Italia.
“Sì, qualcuno si è accorto delle mie condizioni, ma non mia madre. O, meglio, se se n’è accorta non me ne sono accorto io” racconta. “A mio padre invece, che da anni convive con un’altra donna, sono stato io a dirglielo. Un giorno sono andato da lui e gli ho detto che avevo qualche problema di droga. Ha reagito diminuendo drasticamente la paghetta settimanale e almeno lui qualcosa ha fatto”. Michele non scappa, sta solo cercando di costruire finalmente qualcosa. Da quando ha deciso di smettere con il crack e tutto il resto, sta riscoprendo le passioni che aveva prima. Disoccupato, ha fatto le serali per recuperare due anni in uno e pensa al futuro. “Intanto voglio finire la scuola e poi si starà a vedere, mi piacerebbe fare anche l’università” dice. Anche se il suo principale obiettivo però è un altro: “Voglio avere una famiglia, fare un figlio – spiega – Io sto facendo i conti con 23 anni di vita in una famiglia piena di beghe e con una madre poco presente. Insomma, so perfettamente cosa significa avere una famiglia disunita e non voglio che la droga, o qualsiasi altra cosa, possa rendere così anche la mia. Mi piacerebbe andare via dall’Italia, in Scandinavia. Là le cose funzionano meglio, c’è un servizio sanitario all’avanguardia, gli stipendi sono molto alti. Chissà, forse un giorno ce la farò” conclude. E sorride.
In bocca al lupo, Michele.
Foto: giornalesm