Gino Paoli oggi compie ottant’anni. Se stiamo a sentire lui, sono sessant’anni che ha vent’anni. Di sicuro, sono sessant’anni che scrive e canta. E continua a farlo, per nostra sicurezza e gioia. Di soffitti viola, di gatte malinconiche in vecchie mansarde, di parole consumate come sassi, di canzoni lasciate se avrai freddo. Dell’insopportabile sapore di sale che ogni sera cantata si è costretti a celebrare. Ma l’opera di una vita lunga come la sua fortunatamente ha del bello anche fuori dagli anni 60 e dai canonici greatest hits. Quello che provo a fare è andare a ricercare alcune perle seminascoste o lasciate in ombra. Buon compleanno, Gino, ottant’anni scritti e cantati senza perdere colpi sono un bell’andare.

LA DONNA CHE AMO (1974) – Il disco si chiama “I semafori rossi non sono Dio” ed è uno dei capolavori nascosti della musica italiana. Paoli è stata una scoperta senile, per quanto mi riguarda: l’ho approfondito solo negli ultimi anni, e la voglia di farlo è arrivata dopo aver ascoltato questo disco in cui traduce e interpreta Serrat. Copertina inquietante, un manichino che aspetta all’incrocio di una via, per un disco che narra di libertà, emarginazione, ossessioni. La donna che amo mi fa cantare, mi fa fare lo scemo e mi fa pensare. Per lei sono impazziti tutti gli amici e si mangian le mani i miei nemici. La donna che amo è la mia padrona, è mia madre il mio cane e la mia puttana. Io pensavo di averla e mi ha avuto lei, col mio cane il mio letto e gli amici miei.

67 PAROLE D’AMORE (1977) – Altro disco “maledetto”, un doppio album intitolato “Il mio mestiere”, mai ripubblicato su cd, e che all’epoca vendette pochissimo. Le parole sono proprio 67, l’amore si canta anche senza ridondanze. Sei bella come tutte le cose che non ho.

COME SI FA (1969) – Come si fa a non vendersi l’anima quando sei tu che vorresti comprarmela. E’ tutta lì, tutta in quel ritornello aperto e cantato con tutta la disperazione possibile. Una disperazione senza resa.

IL GIOCO DELLA VITA (1979) – Un pezzo scritto nel 1975 e rimasto nel cassetto per anni. Quasi rinnegato, forse perché troppo lungo, troppo complesso, con la sfortuna di uscire in un periodo in cui Paoli non era stato ancora riscoperto. Anomalo. Le previsioni non erano il tuo forte.

QUESTA VOLTA NO (1989) – Un Sanremo di fine anni 80. Vale quanto detto per Come si fa. Mi consumerai in mille giorni pieni di allegria.

FINGERE DI TE (2004) – Un duetto con Ornella Vanoni, l’ultimo degno di nota. Scritto a settant’anni, ispirato e per niente vecchio. L’amore non è mai quello che sembra, e se ti parlo ancora, adesso come allora, diventa vero fingere di te.

GENOVA NON E’ LA MIA CITTA’ (1989) – A Genova Paoli ha dedicato molte meno canzoni di quante avrebbe potuto e di quanto altri hanno fatto. Infatti non ha senso, se non posso raccontarti della spiaggia, della Foce, di Corrado, di Luigi, per sentirli ancora vivi.

QUESTIONE DI SOPRAVVIVENZA (1988) – La nuova giovinezza degli anni 80. I tuoi difetti mi sono indispensabili. Con i tuoi capelli che mi fan da bussola.

IL MANICHINO (1974) – Ritorno sui Semafori Rossi. Un’ossessione, tra saldi offerte e novità. E domani è solo un avverbio di tempo.

ALBERGO A ORE (1971) – Non l’ha scritta lui, e nemmeno tradotta: il pezzo è francese, il testo italiano è di Herbert Pagani. Ma lui è probabilmente il miglior interprete della storia degli amanti di un giorno.