La nostra Sofia, certamente amante degli animali, propone un racconto interessante: “Vita da cani” è la cronaca di una afosa giornata estiva (e contemporaneamente di una vita intera), narrata interamente in seconda persona singolare. Questo curioso personale impersonalismo dato dal tu, che solitamente spinge il lettore a immedesimarsi ancora maggiormente con i personaggi descritti (del resto, è come se il referente venisse sempre chiamato in causa), si sviluppa e si avviluppa ad uno stile secco e asciutto, ma non privo di una sua originalità. Ecco dunque il racconto di questa settimana. Continuate a inviarne, lettoriscrittori!

Vita da cani

Sono le tre di pomeriggio. Le tue gambe sono gonfie. Puoi vedere il sangue pulsare nelle vene ritmicamente, senza mancare un colpo. Le stendi sopra una sedia, va un po’ meglio. Fa un caldo infernale. Accendi la televisione, una voce dice “in arrivo il vento nordafricano Caronte che infiammerà l’Italia. Sconsigliamo di uscire tra mezzogiorno e le diciassette”… Ascolti le notizie dagli altoparlanti. Una risatina risuona nella tua testa. Sempre le stesse stronzate, da mattina a sera. Che senso ha dare nomi idioti a correnti d’aria? Fa caldo, fine dell’antifona. La stanza è buia, solo un fascio di luce ti impedisce di vivere come una talpa nella sua tana. Guardi la televisione, passivamente. Echi risuonano perdendo di significato, fondendosi l’una con l’altra, immagini ti appannano la vista. Socchiudi gli occhi, ti emozioni di fronte ad uno spiffero d’aria soffiato dal ventilatore. Che giornata! Sono le tre di pomeriggio. Non si deve uscire di casa a quest’ora, il quindici di Agosto. Sdraiato sul divano, pensi a tutti gli stronzi che in questo momento sono in vacanza. A Giulia, che è andata in Grecia con le amiche, a Matteo che è con la sua fidanzata-velina ad Amalfi… decidi di sfidare la voce dei medici autorevoli che guadagnano mille euro al secondo dicendo due cazzate in televisione, e fuggi dalla tua prigione casalinga.

Infili le scarpe e parti alla conquista della città tropicale. Scendi le scale al buio. Il silenzio la fa da padrone, sembra quasi di essere in chiesa. Poi, apri il portone e il caldo quasi ti soffoca. Socchiudi gli occhi, non più abituati alla luce, cerchi di trovare il coraggio per continuare ad esplorare il nulla. I tuoi
passi sono pesanti quasi quanto le tue gambe, il respiro si fa affannoso, corto, da impazzire. Continui a camminare, inerme. Senza forze, senza direzione. Un passo, due passi, tre passi, cento passi. Poi, senti qualcosa. Hai appena pestato una merda. “Non è possibile”, pensi. “Non si incontra una persona in tutta la città, ma incontri sempre una merda di cane, lasciata lì da un grande amante degli animali, non certo da un filantropo”.

Come farai adesso? Non puoi andare avanti come se niente fosse… o meglio, potresti. Ma sapresti che sotto la tua suola c’è un enorme e nauseabonda merda di cane. Guardi il cielo come per cercare una via di fuga, un rimedio efficace per accantonare il problema. Ma il grande e misericordioso Dio non è disposto a farti tornare indietro nel tempo e a farti evitare la collisione con il re degli escrementi. Allora, ricerchi la soluzione nel tuo ingegno. Dopotutto sei un avvocato, non puoi farti sconfiggere così…

La soluzione più ovvia, sembra strusciare la suola della scarpa sull’erba. Peccato che in centro non ci siano aiuole né giardinetti, che la striscia d’erba più vicina sia quella che circonda il Castello dell’Imperatore. E non puoi certo metterti a pulire la merda davanti a tutta Prato. Se ti vedesse qualche
persona autorevole? Che penserebbe?

Serve un piano B. Provare a smaltire un po’ di massa maleodorante usando lo scalino del marciapiede, sempre con discrezione ovviamente. Perfetto. Si inizia a ragionare. Ma il carrarmato della suola resta intriso ed uniformemente sputtanato. Non puoi rientrare a casa in queste condizioni, appestando l’aria di tutto il condominio e rovinando le piastrelle dell’ingresso.

Poi tua moglie chi la sente?

Già, tua moglie. A lei oggi ancora non avevi pensato. Alla donna che ti ha sposato 19 anni fa. La figlia dell’industriale sceglie come marito un ragazzo ribelle, per fargli mettere la testa a posto, strappare i suoi sogni di gloria, e poter dire “hai visto, avevo ragione, non era un poco di buono!”. Lei, con il suo metro e settanta scarso, le manie di perfezione, lo smalto impeccabile, la piega da duecento euro, la pelle stirata dal botulino (come le labbra, mai state tanto carnose come da dopo il 2006), le tette strizzate, e quell’aria da donna di mondo. Lei, che tanto amavi. Lei, che adesso è in barca per tutto il fine settimana con le amiche. Almeno a quanto dice. Magari, invece, è con qualcun altro. Non che ti interessi più molto, in realtà. Da quando vi siete sposati, non ha mai perso il controllo. Non si è più lasciata andare. Prima era
tutto diverso.

Ma ora non hai tempo per pensare a queste cazzate sentimentali. Ora devi
pensare a come eliminare quella merda. E sai che puoi contare solo sulle tue forze, mentali e fisiche. È diventata un’ossessione che ti possiede il cervello e non ti dà tregua. Bestemmi tra te e te. Se ti sentisse tua mamma. Tutta casa e chiesa, lei. Dio qui, Dio là. Storie per bambini che la Domenica mattina si svegliano e devono vestirsi bene per andare alla messa. Ma tu non ci vai più da anni. Mamma per fortuna non lo sa.

Scavi nelle tasche dei pantaloni cercando la magia che farà scomparire il nemico. Le chiavi non servono a molto, i soldi nemmeno… il cellulare. Potresti chiamare lo spurgo.. sei tentato ma poi ti chiedi come certe idee imbecilli possono anche solo passarti per la testa. Non riesci a trovare una soluzione a questo problema, e la temperatura sembra aumentare di minuto in minuto.

Forse non avevano torto, i dottori, a dire che non era l’ora giusta per uscire, soprattutto per un cardiopatico con un grande giramento di coglioni in corso. Avanzi per la via, stizzito. Senti di avere gli occhi puntati addosso, sono come centinaia di mirini che non cercano altro che il punto dove colpire per
farti strisciare a terra supplicante. Hai paura che tutti sentano la zaffata di puzzo che ti porti dietro, e che ti sta mettendo mentalmente a dura prova. Ti guardi intorno, cercando non sai cosa, e incroci lo sguardo di una giovane ragazza appoggiata alla fontana di piazza del comune.

Non è bella, certo. Le sue gambe non sono per niente toniche, indossa una canottiera verde che sicuramente non si sposa con quei pantaloncini rossi. Però continui a guardarla, perché quella ragazza è reale. È reale in suo naso a patata, imperfetto e asimmetrico, sono reali quegli occhi chiari. Vorresti parlarle, vorresti avvicinarti, ma la paura ti blocca. Come reagirebbe, la ragazza, alla ricerca di un contatto da parte di una persona così diversa da lei? Cosa potrebbero dirsi? Cosa potrebbero avere in comune un cinquantenne, avvocato di successo con tanto di figli e moglie a carico, con tanto di appartamento in piazza del duomo, e una ventenne sbarbatella?

Tutto questo non lo sai, e non troverai delle risposte a queste domande. Certo è che senti il bisogno di comunicare con qualcuno. Qualcuno che non si limiti a chiederti com’è andata l’udienza, a chiederti i soldi per andare in vacanza, qualcuno che invece abbia voglia di sentire la tua storia. Di quando avevi vent’anni, e tutto andava bene senza un perché. Di quando scappasti di casa, ragazzino undicenne, perché tuo padre non voleva prenderti un cane, e nonostante questo tu non abbia mai avuto un cane.

E mentre pensi, continui a fissare quella piccola donna, che imbarazzata da un gioco di sguardi indesiderato, si è alzata e ha già imboccato quel vicolo buio sulla sinistra, che chissà dove la porterà. E tu, invece, tu dove andrai? Non lo sai ancora, o forse si.

La tua vita va bene. Hai una moglie bella come poche, una figlia che sta per prendere la maturità al Cicognini con il massimo dei voti, un figlio che fa il calciatore e vive a Milano. Hai una casa bellissima: opere d’arte di fotografi e pittori decorano le pareti della stanza da letto, e sono lampade pensate da designer tedeschi a illuminare le tue sere. Guidi una Mercedes comprata tre mesi fa, argentata, sedili in pelle nera. Che cosa vuoi di più? Chi potrebbe volere di più? Tutta Prato ti invidia, eppure… forse sei te a invidiare tutta Prato? A invidiare il panettiere che per primo vede l’alba, e la casalinga che si prende cura dei fiori in terrazza? Quando è stata l’ultima volta che hai preso la macchina per fare una gita fuori porta, e non per andare al tuo studio in via Tornabuoni? Quando hai fatto una passeggiata sotto il sole delle Cascine di Tavola, per il piacere di sentire il rumore degli uccellini e l’erba punzecchiarti la pelle, con dolcezza?

Probabilmente questi ricordi risalgono a quando Giulia aveva dieci anni, era ancora piccola e aveva ancora voglia di passare le Domeniche con il babbo. Il babbo poi aveva iniziato a non avere più tempo per lei, a vivere solo per il lavoro, per garantirle un futuro, diceva. Allora Giulia aveva smesso di chiedere tempo, e iniziato a chiedere soldi, ad avanzare pretese diverse. Ti accorgi di essere ormai vicino alle rive del fiume, lo guardi scorrere. Lui segue la corrente perché non può fare altrimenti, è la natura ad imporglielo. Tu, invece, perché lo stai facendo? Perché? Chi ti ha obbligato a prendere una direzione, piuttosto che un’altra? È stato tuo padre, e le sue pressioni per farti diventare un avvocato di successo? Oppure tua moglie e le sue ambizioni? O forse sei stato solo tu, vigliacco?… un nodo alla gola quasi ti
strozza. Ti gira la testa, non sai dove rivolgere lo sguardo, e a poco a poco socchiudi gli occhi, aprendoli solo per fare fuoriuscire lacrime copiose, lacrime che non percorrevano le tue guance da tempi immemorabili. Rimani li, le lasci scivolare, in silenzio. E aspetti che qualcuno arrivi e ti strappi la vita
dal cuore, che qualcuno ti salvi.

Ricordi gli anni ’70, le sere a guardare il Bisenzio, a farsi guardare dal Bisenzio mentre baciavi la tua ragazza di quei giorni, cercando di strapparle ogni volta una concessione in più. Adesso sono i tossici, di notte, ad impossessarsi di quel piccolo lembo di terra che tanto ti era caro, dove non tornavi da molto tempo.

Le tue scarpe ormai sono ufficialmente fottute. Se prima erano sporche di merda, adesso sotto la suola c’è anche una considerevole quantità di fango, ed è quasi impossibile sbarazzarsene, lo sai. Fai per tornare verso casa, attraversi Piazza Mercatale e passi davanti al garage dove hai diligentemente parcheggiato la Mercedes il giorno prima. Ormai non fa più così caldo, sono passate delle ore da quando sei uscito di casa; nonostante questo, entrando nel garage senti un certo cambiamento di temperatura, e l’odore di umidità si impossessa delle tua narici dilatate.

La macchina è a posto, che ti aspettavi? Vorresti fare un giro, ma dove puoiandare? Come puoi guidare con le scarpe sporche senza insozzare il lussuoso l’abitacolo, che ogni settimana fai lavare? “Chissenefrega”, dice una voce anarchica nel cervello. Prendi le chiavi dalla tasca, apri la portiera,
ingrani la marcia e parti, senza nemmeno allacciarti la cintura. Uscito dal centro, ti dirigi verso Galceti, perché non lo sai. La strada corre veloce sotto le ruote, l’asfalto ribolle, guardi il direzionale senza esitazioni, i finestrini abbassati, una mano sul volante, l’altra a contatto con l’aria. Una grande macchia informe si interpone tra te e la strada deserta, inchiodi in vista dell’ostacolo. La massa informe schizza via a velocità inumana. Accosti la macchina, cercando di capire che cosa hai rischiato di investire. Il silenzio rimbomba nelle orecchie, ti pari gli occhi dal sole con una mano. Ti senti una giovane marmotta e non sai perché. Guardi dietro al cespuglio, è lì che correva “la cosa”, lì che si rifugiava dopo lo spavento. E davanti a te si propone un cane, un pitbull color miele, ancora giovane. Gli occhi grandi e marroni, pieni di paura. Non vuole lasciarsi avvicinare, si fa quasi minaccioso. Ma tu sai come trattare con gli animali, sai mostrargli sicurezza. Lo guardi e gli sussurri che va tutto bene, che è un cane bellissimo. Avvicini senza paura la mano, il pelo corto, trascurato, e ruvido come cartavetro, ti graffia dolcemente. Piano piano abbracci il cane, lacrime calde e salate ti finiscono in bocca, altre rimangono
intrappolate nella barba. L’animale non mostra grandi reazioni, è timoroso e non si fida, quasi cerca di scappare alla morsa delle tue emozioni. La vita di strada lo ha portato ad essere diffidente, a stare in solitudine. Poi, si lascia andare, si lascia guidare fino alla macchina e monta sul sedile anteriore, che
diviene irrimediabilmente sporco di fango.

Il cane è veramente molto sporco, un odore sgradevole investe l’abitacolo fino ad annullare l’effetto dell’Arbre Magique alla lavanda, ma non ci fai quasi caso. L’animale si accuccia, e si innervosisce quando l’auto inizia a prendere velocità. Abbassi il finestrino per farlo respirare. Il pitbull ulula per qualche chilometro, spaventa passanti invisibili, poi si calma e si fa spazio sul sedile, appisolato e sicuro.
Stai guidando, senza direzione. Che cosa farai adesso? Tornerai al tuo lavoro di avvocato, domattina? Continuerai a lavorare a quella pratica che tanto ti sta a cuore? Ti farai sgridare da tua moglie per aver introdotto nelle vostre vite un animale sgradevole e puzzolente? Non lo sai proprio. Ma sai che non ha importanza. Hai finalmente qualcuno che ascolterà la tua storia durante il viaggio, qualcuno al quale interessa davvero. Qualcuno di cui aver cura, che ricambia il tuo affetto incondizionatamente e disinteressatamente. E pensi, “è proprio vero: dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i
fiori”.