Francesco Casini si presenta a noi con il disturbante “Zoorastia” (io avrei scelto un altro titolo, Francesco, questo è un po’ uno spoilerone al racconto, non trovi?)… protagonisti: due uomini, un cane di nome Willy, e una bella quantità di cocaina. Se queste premesse vi disturbano, vi invitiamo a non procedere nella lettura, altrimenti be our guests. Con stile smaccatamente anglofono, Casini ci presenta una storia rapida… ma non indolore. Come sempre, diteci la vostra nello spazio commenti (e su, pigroni!).
Zoorastia
Un frastuono mi destò dal sonno. Ero confuso non capivo dov’ero. Realizzai che stavano bussando alla porta e riconobbi il mio soggiorno. L’orologio a muro segnava le cinque. Alla porta continuavano a bussare. Mi alzai, stravolto, e andai ad aprire.
– Ci hai messo una vita!
Era Bisturi, un cliente abituale. Mi scostò tirandosi dietro un meticcio al guinzaglio.
– Ehi, che cazzo è quello?
– Il mio cane.
– Da quando hai un cane?
– Da ieri. Guarda ha anche la medaglietta.
– L’hai rubato?
– Che cazzo dici? L’ho preso al canile. Ma che razza di persona pensi che sia?
– Lascialo fuori.
– Scherzi?
– Non voglio che caghi in casa.
– Non lo farà, è molto educato. Vero Willy?!
Parlava al cane adesso.
-Sul serio, lascialo fuori.
Bisturi sbuffò e legò il cane alla maniglia esterna del portone. “Contento?!”, poi si buttò sul divano.
Chiusi e andai a cercarmi un po’ di caffè.
– Stavi dormendo?
– Cosa?! – urlai dalla cucina.
– Ti ho svegliato?!
Nella moka c’era del caffè raffermo. Aprii il frigo e lo allungai con del latte.
– Riposavo gli occhi.
– Cazzate!
– Vuoi del caffè?
– Quella merda fa male! – e scoppiò a ridere.
Tornai in soggiorno con una tazza di caffellatte, “quanta ne vuoi”?
Bisturi si controllò le tasche dei pantaloni; ne indossava un paio verde militare.
– Un cinquantino?
– Ti posso dare un mezzo pezzo.
– Cristo amico, è tutto quello che ho, dammi un grammo.
– Mezzo o niente.
Bisturi annuì. Mi avvicinai al tavolo, vi posai la tazza e trafficai con le mattonelle del pavimento sotto di esso. Sentii il cane guaire da fuori. Bisturi si alzò agitato, i suoi stivali suonarono pesanti.
– Ma che cazzo! – mi gettò un’occhiataccia e aprì il portone – vedi che cazzo hai fatto?! Hai fatto piangere Willy.
Si mise ad accarezzarlo chino su di lui. Il cane cacciò fuori la lingua e gli leccò tutta la faccia. Uno spettacolo disgustoso. Bisturi sembrava divertito. Era surreale vederlo affezionato a qualcosa che non doveva spararsi in vena.
Sotto un paio di mattonelle vi era una scavatura nel cemento in cui nascondevo gli ovuli di coca. Ne presi uno e lo scartai. Bisturi si rizzò, sussurrò qualcosa a Willy poi lo richiuse fuori e venne oltre.
– Sotto il pavimento tieni tutta quella roba?
Il volto di Bisturi era scavato e giallognolo. Le braccia che sbucavano dal giubbino di Jeans erano ricoperte di tatuaggi. Nonostante l’aspetto sciupato sembrava in salute; non aveva quella magrezza tipica di chi si fa in vena.
Rovesciai la dose sul tavolo e mi guardai attorno in cerca di qualcosa con cui smezzarla.
Il soggiorno era un disastro. Sul tavolo vi erano piatti sporchi e bottiglie vuote. Il televisore di fronte al divano era polveroso, così come la libreria poco più in là, semivuota, con qualche libro riposto disordinatamente. Le pareti erano grigiastre, come lapidi, e l’intonaco crepato. In un angolo, su un mobile, vi era un telefono e un cumulo di riviste ingiallite. C’erano bottiglie di birra sparse ovunque, piene di cenere e mozziconi di sigaretta. Era il soggiorno di una persona sola.
Presi un coltello da un piatto, lo pulii sui jeans e divisi la coca. Una metà la rimpacchettai e la riposi nel pavimento. L’altra la intrappolai tra le pieghe di una vecchia pagina di giornale. Bisturi osservava silenzioso, poi guardò la mia tazza e disse che il caffè aveva un colore di merda. Gli risposi che era caffellatte e gli diedi la coca. Se la infilò nelle mutande, quindi mi allungò un banconota arancione tutta spiegazzata e si ributtò sul divano.
– Senti amico, dovrei chiederti un’altra roba.
– Dimmi.
– Conosci… ehm, quella roba che si respira, quella leggera, che dilata il culo, sai?!
– Il popper?
– Sì, quello.
– É roba da froci, che te ne fai?
– Boh… niente, cioè sono curioso – scoppiò a ridere.
Gli risi dietro – sei diventato finocchio?
Lui continuò a ridere, poi ci fu un momento di silenzio.
– Sì comunque dovrei avere qualcosa. Vieni con me.
Me lo tirai dietro fino in camera; non mi fidavo di lui, da quel che ne sapevo girava sempre con un coltello in tasca.
Cercai nel comodino tra grinder, pezzi di stagnola, accendini, pipette e altra merda. Il popper era leggero; lo vendevano in fiale e lo si trovava facilmente all’estero. Se respirato stonava qualche secondo, dava eccitazione sessuale e rilassava i muscoli rettali. Nulla di speciale.
Trovai quello che cercavo e lo detti a Bisturi, “te lo regalo”.
– Grazie amico! Ehm, un’ultima cosa, sai se… cioè, funziona solo con gli uomini?
Nel frattempo tornammo in salotto e io al caffellatte.
– In che senso?
– Cioè, funziona anche su altri? – Bisturi sembrava a disagio. Teneva lo sguardo basso e giocherellava con la fialetta.
– Funziona anche sulle donne – dissi sorridendo.
– Ma non in quel senso! Mi chiedevo… – si girò vesto il portone – se funziona anche sugli animali.
Lo fissai, sorseggiando il caffè. Accennò un sorriso e gli occhi gli divennero grinzosi.
– Vuoi drogare il tuo cane?
Bisturi scoppiò a ridere e mi disse di lasciar perdere.
Lo accompagnai alla porta.
Il cane era sempre lì sul pianerottolo; mentre il padrone lo slegava sembrò guardami a lungo con aria triste. Assomigliava ad un Labrador ma non avrei saputo dire che razza d’incrocio fosse, non ne capivo niente d’animali. Una volta liberato cominciò a farci le feste. Lo accarezzai e sembrò piacergli: chiuse gli occhi e lasciò penzolare la lingua. Sembrava felice.
Mi rialzai e Bisturi strattonò via il cane. Sapevo di dovermi fare i fatti miei ma non resistetti: afferrai Bisturi per un braccio e gli chiesi perché voleva drogare il suo cane. Si staccò infastidito ma cercò di non darlo a vedere.
– Amico! Mi hai frainteso, davvero. Non farò un bel niente a Willy! – poi si rivolse al cane – Vero Willy?!
Nel frattempo stava scendendo le scale del palazzo.
– Senti, dammi indietro quella roba, il popper.
– Cosa?! Vaffanculo.
– Aspetta, ti do l’altra metà.
Bisturi si bloccò. Si pulì un orecchio col medio, sembrò riflettere e tornò lentamente indietro. Willy non capiva e scodinzolava allegramente. Tornammo tutti al divano. Finii il caffè e scoperchiai di nuovo le mattonelle. Bisturi fissava il vuoto.
– Senti, quanta ne vuoi per il cane?
– Cosa?!
– Quanta ne vuoi? cinque grammi? dieci?
I tatuaggi di Bisturi guizzarono, si alzò spazientito.
– Non so che cazzo ti sei mezzo in testa ma non ti do il mio cane!
Stavo offrendogli mille euro di roba e cominciai ad innervosirmi.
– Il tuo cane?! È un bastardino del cazzo preso in un canile di merda, non hai sborsato un centesimo. Ti sto facendo un favore, andiamo.
– Proprio non capisco – bisturi balbettò qualcosa – cosa… cosa è questa storia? È per il popper?!
– Sì è per il popper, risparmiami la scenata – gli allungai cinque ovuli di coca.
Probabilmente non ne aveva mai avuta così tanta tutta assieme. Si grattò la barba poi scosse la testa.
– Senti, io proprio non capisco – gettò a terra il guinzaglio e prese le coca – tu sei tutto impazzito, guarda quanta roba.
Cercò di nascondersela tutta nelle mutande.
– Adesso vai fuori dai coglioni.
– Me ne vado sì, torno al canile, brutto stronzo.
Notai che aveva ancora con sé il popper e lo intimai di ridarmelo ma fece per andarsene. Sorvolai Willy e bloccai Bisturi da dietro; fece resistenza e per un momento barcollammo entrambi come due ubriachi. Cercava di raggiungere le tasche con le mani ma riuscii a spingerlo contro il muro facendogli battere la testa. Il cane dietro di noi s’innervosì e cominciò ad abbaiare.
– FIGLIO DI PUTTANA LASCIAMI!
Cercò di tirarmi delle gomitate e gli assestai una ginocchiata in un fianco; cacciò un urlo e si accasciò per terra reggendosi la milza. Gli controllai le tasche e ripresi la fiala.
Bisturi dolorante continuava a minacciarmi.
– Pezzo di merda, ti ammazzo, hai capito testa di cazzo?!
Gli tirai un altro calcio e rotolò faccia al muro. Dalla patta dei pantaloni perdeva coca e nel rotolarsi la stava spalmando per tutto il pavimento.
Spalancai la porta e lo trascinai fuori. Lui continuò a sbraitare.
– Ti sfregio brutto stronzo, ti taglio la gola! Mi faccio vent’anni di galera per te!
Willy ancora abbaiava al centro del soggiorno.
Dissi a Bisturi di sparire e di lasciar perdere i cani. Gli lasciai la droga, chiusi a due mandate e rimasi contro la porta affannato. Il cane si zittì. Bisturi bestemmiò finché qualcuno non gli urlò di farla finita dalla tromba delle scale e poi se ne andò. Non lo rividi mai più.
Mi lasciai scivolare a terra. Il cane si avvicinò e lo accarezzai.
– Mi sei costato una fortuna – gli dissi.
Non capì e mi leccò la mano. Andava bene così.
Francesco Casini