Stefania Zampiga (SZ) e Sandra Querci (SQ) sono le fondatrici e le animatrici di “Poecity”, un progetto, come spiegano nell’omonimo gruppo facebook che conta quasi 600 iscritti, “nato per disseminare la poesia in luoghi sempre diversi della nostra città, dunque per condividere e lasciar germogliare parole di ispirazione e nutrimento”.
Si riuniscono di solito una volta al mese e leggono poesie intorno a un tema o ad una parola ogni volta diversa. Nella Giornata mondiale della Poesia (21 marzo) ci siamo fatti raccontare
Quando vi incontrate leggete solo poeti contemporanei o c’è anche ci porta le sue poesie?
SQ: «No, sono soprattutto poeti. È capitato che qualcuno portasse le sue poesie, qualche volta, ma in realtà uno degli intenti è condividere la ricerca sulla poesia contemporanea. Fin dall’inizio ogni incontro ha un tema, una parola, e intorno a questa parola chiunque può ricercare una poesia che rappresenti questo tema secondo loro, poi viene condivisa la lettura. Abbiamo sempre preferito evitare un’esposizione personale: preferiamo sia una ricerca di pluralità di voci, autorevoli e diverse, che magari parlano della stessa cosa in modo diverso».
Che differenza c’è fra voce autorevole e voce diversa?
SQ: «Il limite è la pubblicazione, anche se è chiaro che è un limite che non definisce la qualità. Una delle intenzioni è la ricerca che ha permesso di scoprire autori che magari erano poco conosciuti, e condividere la conoscenza di voci della poesia contemporanea, anche giovani che ci ha portato anche a fare incontri con autori e presentazione di libri».
SZ: «È un po’, forse, fin dall’inizio che c’è stata questa scelta delle persone che venivano al gruppo di focalizzarci sulla lettura più che sulla presentazione di scritti propri. È stata un’esigenza e man mano che va avanti ci sembra sempre più importante perché l’Italia non è un paese in cui la lettura è così sviluppata, soprattutto quella di poesia contemporanea: la pratica di portarli nel gruppo, e leggerli, ha fatto scoprire a chi partecipa e non ne conosceva che in realtà ci sono ancora dei poeti contemporanei».
SQ: «I poeti contemporanei danno anche una chiave di lettura della realtà. Leggere poesie è sempre una cosa nuova: una lettura di una poesia ad alta voce da parte di chi non l’ha scritta permette a chi la legge e a chi l’ascolta, e magari già la conosce, di scoprire cose nuove e altri sensi, scoprire quello che chi l’ha letta ha scoperto».
SZ: «Una parola che va è una parola libera, ed è il lettore che contribuisce a creare un significato. Mi veniva in mente una delle Città Invisibili di Calvino, Eufemia, dove la sera persone da vari luoghi si fermano in cerchio e cominciano a raccontare in rapporto a una parola: quando ciascuno torna nei suoi viaggi la parola “guerra” ha un significato ibridato da tutte le storie che hanno sentito raccontare in questo scambio».
SQ: «È come se, nella lettura, le persone svelassero il loro senso di quella poesia. Permette contatti fra le persone che si sono rivelati interessanti anche indipendentemente dal gruppo. Si crea una specie di rete».
Quanti siete più o meno nel gruppo di Poecity?
SQ: «È un gruppo molto mobile, gli incontri sono sempre aperti a tutti anche se è vero che c’è un gruppo di persone, una quindicina, che seguono più da vicino il percorso. Ad alcuni incontri siamo stati anche trenta, trentacinque».
Fra Prato e la poesia che rapporto c’è, secondo voi?
SZ: «Il primo che mi viene da dire è che c’è questo tema delle tessiture che legano tantissimo la parola poesia e la ricerca che viene fatta a Prato: è molto interessante esplorare questa connessione, e l’abbiamo fatto, cercando le parole che possano collegare Prato alla poesia. Prato si espone e si apre al contemporaneo, non è solo sulla conservazione: ha già in corso una ricerca e una produzione di tessuti ed arte contemporanea. Ci sono delle transizioni, non viviamo sempre le stesse cose, e queste transizioni necessitano parole nuove, altri sguardi: la poesia in questo aiuta, uno dei motivi per cui la cerchiamo è che a differenza di un linguaggio narrativo, che dovrebbe essere un po’ più lineare, la poesia è più visionaria e aperta, quindi inclusiva».
SQ: «La città di Prato è una città di accoglienza della diversità, multiculturale nel senso più ampio del termine, e la poesia le corrisponde: è una ricerca di senso altro in questa mescolanza di parole che possono ricomporsi e permetterci di avere uno sguardo molteplice, diverso, e cercare nuove possibilità. Mai come oggi aiuta, direi, anche se non risolve».
Ci sono poeti contemporanei a Prato?
SZ: «A parte qualcuno pubblicato, come Roberto Balò che a volte è venuto a Poecity. So che c’è Arzachena Leporatti ma non la conosco molto, e sta per essere pubblicato un volume, da Transeuropa, di una nostra cara amica che è venuta spesso, che è Veronica Tinirello ed ha già pubblicato».
SQ: «Anche Leda Erente, di Vaiano, che ha pubblicato e a volte è venuta a Poecity».
Come si fa a far capire a chi va a scuola che si possono leggere poesie, e può essere fatto per piacere personale? Ho ancora gli incubi di quando mi dicevano “analizza il testo poetico”: come si insegna che la poesia è una cosa bella, e non c’è bisogno di vivisezionarla per capirla? Che si può leggere perché si ha voglia di leggerla?
SQ: «Si invita a Poecity (n.d.r. ride), così legge le poesie di poeti che credo possano dire molto anche ai ragazzi giovani. Vengo dal mondo dell’editoria e ho sempre sofferto tantissimo di queste pagine di libri scolastici in cui la poesia era dissezionata fra analisi grammaticale e significato, che doveva essere solo uno. Ho visto che però le cose stanno un po’ cambiando, di recente mi è capitato di vedere dei libri di scuola che separano il percorso di lettura da quello tecnico. Iniziare una lezione leggendo una poesia senza farne altro, che abbia senso per l’insegnante e la cui lettura possa restituire il senso di chi la legge, potrebbe essere un modo non solo per far amare la poesia: se la cura delle parole è la cura della vita serve a dare una possibilità di…non voglio usare una parola grossa come felicità, ma ci si può andare vicino».
SZ: «Io sono stata insegnante per diverso tempo e probabilmente la dissezione della poesia viene da una fase anteriore, dove c’era il testo e la spiegazione, che doveva essere onnicomprensiva della poesia. Nell’intento di andare oltre probabilmente la gente ha esagerato nella dissezione. Per l’Italia c’è anche la questione dell’importanza della storia che da una parte è molto bella, ma rischia di far perdere il contatto, fornire strumenti per il presente. Anziché apprendere cose a memoria o annoiarsi sarebbe bello accostarsi più liberamente a un canone che ancora viene imposto, sopratutto per l’italiano: ci sono ancora tantissimi autori canonici che gli insegnanti devono fare, dovremmo togliere questa imposizione e favorire un contatto diverso. Ho fatto diversi progetti a scuola, l’ultimo è un murales di sei metri con dei versi scelti dagli studenti, al Copernico. I ragazzi, sollecitati su temi ma lasciati liberi di cercare, portavano cose stupende».
Che cos’è la poesia secondo voi, e a cosa serve?
SZ: «C’è una citazione che abbiamo su internet, “è quella cosa che quando non c’è se ne sente la mancanza”».
SQ: «O un’altra di Antonella Nedda: “la poesia serve a togliere peso al peso nero del prato”, o comunque trovare delle possibilità di luce dalle oscurità. Vedere altro, anche in una situazione di difficoltà».
E secondo voi come è nata: come è successo che la prima persona ha pensato in quel modo, e non in modo lineare?
SZ: «Questa è la domanda da mille punti! Un’amica artista diceva che ogni volta che si parla si crea una poesia, da un certo punto di vista: poesia è fare, la necessità di fare qualcosa con le parole che, crediamo fermamente, sono un elemento pacifista. L’uso delle parole e dei silenzi è la cosa che ci accomuna tantissimo: la cura delle parole crea una cura nelle relazioni e nei pensieri, anche dell’ambiente. C’è un libro che abbiamo studiato come gruppo che si chiama “Poesia come ossigeno” ed è per una ecologia della poesia e direi anche con la poesia».
Voi due, Sandra e Stefania, avete un poeta o una poetessa preferiti?
SQ: «Una sola è difficile. Potrei dire…più che preferita è proprio una cosa di comunicazione e momenti, per questo rispondere mi è un po’ difficile. Ora sento vicini i testi di Antonella Anedda, “Notti di pace occidentale”, anche sulla guerra e i momenti di pace che sentiva come tregua. Tra i poeti che abbiamo letto di più forse Mariangela Gualtieri e l’attenzione al mondo naturale che ci comprende, o Pierluigi Cappello».
SZ: «In genere trovo abbastanza casa fra tanti versi, e dipende dai momenti: adesso abbiamo approfondito Umberto Fiori, ex musicista che esplora il tema della conversazione, l’interazione verbale tra le persone. Credo sia molto interessante, trovare poesia anche in una lingua molto povera. Abbiamo bisogno di trovare sostentamento anche in parole povere, ed Umberto Fiore è un grande autore. Abbiamo visto Tomas Transtromer, poeta svedese Nobel, che ha lavorato molto sulla quotidianità e le sue potenzialità».
Ultima cosa: la poesia può cambiare il mondo? Come fa?
SZ: «Piccole rivoluzioni, non gigantesche, se ci si abituasse a dialogare: la festa internazionale della poesia unisce le persone nel mondo perché promuove il dialogo interculturale».
SQ: «Direi anche che cambia noi, soprattutto: dà delle nuove possibilità di lettura della realtà e quindi può cambiare anche il mondo. Frequentare la poesia permette di ritrovarla nel quotidiano ed è un esercizio di ascolto di una voce diversa, che ci permette un ampliamento della conversazione e la possibilità di ascoltare gli altri».
Il prossimo incontro di Poecity quando sarà?
SQ: «Il 3 di aprile, partecipiamo a un incontro organizzato da Sara Nesti: ci sarà un incontro fra danza e poesia».
SZ: «Allo spazio teatrale Allincontro in via dei Sassoli».
SQ: «E il 23 aprile saremo ospiti del centro d’arte Lottozero per la festa del libro».