Era nei primi mesi del 1996. Un allampanato bassista, accompagnato dalla sua band chitarra, tastiere, batteria, fa il suo ingresso sul palco dello 055 di via Verdi a Firenze (già Energia, già Pongo, poi Bamboo Lounge, ora in attesa di nuova reincarnazione). Si presenta timidamente: «Salve, io mi chiamo Max Gazzè, è da poco uscito il mio primo disco che si chiama Come un’onda del mare. C’è un video che gira a Videomusic… qualcuno l’ha sentito? Qualcuno ha visto il video?». La ristretta audience sorride ma non favella, imbarazzata di dover ammettere la propria ignoranza. Il cantante/bassista annusa la mala parata e, rivolto agli altri musicisti, esorta: «Ok, vai coi Police».
Non si limitò ai Police, quella sera (che poi fu solo un accenno di Message in a Bottle) ma già dimostrò di essere un autore molto interessante e che sarebbe destinato a durare. E infatti, 25 anni, 12 dischi e un migliaio di concerti dopo siamo ancora a parlare di Gazzè quale protagonista del Settembre Prato è Spettacolo di quest’anno.
Quella che segue è una playlist istintiva, una sorta di tutto-il-Max-Gazzé-che-mi-viene-in mente, per prepararsi al concerto (qui si può acquistare il biglietto), con qualche perla a stretto uso e consumo di tutti coloro che l’argomento Gazzè l’hanno sempre preso sottogamba.
1. Quel che fa paura
Nel primo disco Max Gazzè è ancora sospeso tra un suo mondo di ricerca e la voglia di arrivare a più persone possibile. La lezione che cerca di fare sua è quella di un Battiato senza quell’eclettismo culturale ma con suggestioni non distanti da quel mondo. Una cosa che piano piano perderà, in virtù di un proprio stile e una propria strada. “Quel che fa paura, come la scia di un benzinaio aperto nelle strade di deserto americano / Come i fulmini senza tuono di primavera rumena / Dove il povero è buono e il cattivo non piega mai la schiena”.
2. Cara Valentina
È un singolo che esce dopo il primo disco e conquista le radio. È il momento in cui Gazzè si risveglia pop, e capisce che quella è la sua strada. Un pezzo leggero ed anomalo, che non ha un ritornello, ma che crea un tormentone nel finale, nello special: “Per esempio, non è vero che poi mi dilungo spesso su un solo argomento: per esempio, non è vero che
poi mi dilungo spesso su un solo argomento: per esempio…”. Nessun altro ha osato tanto. Ne esiste anche una – trascurabile – parte seconda.
3. O Caroline
Una cover, una delle poche della sua carriera (Le uniche altre riguardano Battiato e i CSI), l’unica cantata in inglese. Un pezzo di Robert Wyatt, per un tributo che la musica italiana gli fa sul finire degli anni ’90. Lo spirito del pezzo originale è perfettamente rispettato. Un’anomalia nella discografia Gazzésca, difficilmente la sentiremo dal vivo.
Max Gazzè – O Caroline – YouTube
4. Il timido ubriaco
Gazzè usa Sanremo più volte, e sempre in maniera originale. Siamo nel 2000. Una dichiarazione d’amore solo immaginata ad una donna già impegnata con un “orso che ti alita accanto, sudato che farebbe schifo a un piede” e che non la considera più. Il tutto è confessato a se stesso in un momento di alterazione alcoolica, senza il coraggio di dichiararsi. “Potranno mai le mie parole esserti da rosa, sposa?”. Dolcissimo, disarmato e disarmante. Il video è un’idea altrettanto geniale: un fiammifero, uno sfondo nero, il tempo che passa.
5. L’uomo più furbo
Pop allo stato puro: la storia di un uomo che ha “tutte le donne del mondo” ai suoi piedi ma che ha perso l’unica donna che abbia veramente amato. Un ritratto di un falso vincente che fuma tre pacchi di sigari al giorno. Stavolta l’ironia cede il passo alla radiofonia. Questa ce l’aspettiamo tra i bis.
6. Il solito sesso
Sanremo 2008. Un dialogo (al telefono) tra un uomo e una donna che si sono conosciuti per caso a una festa, e ancora lei è impegnata (Gazzè non predilige le situazioni lineari). Un tentativo di intavolare una situazione clandestina, con lo sforzo di portare il discorso su un piano meno materiale. Un punto di vista originale, con una chiusa che sbrigativamente, dopo aver attraversato curve dell’arcobaleno, angeli e fiamme del vulcano, sintetizza: “Ora ti saluto, è tardi, vado a letto… Quello che dovevo dirti, io te l’ho detto”. Torniamo alla realtà. Chapeau.
7. Sotto casa
Doveva chiamarsi – in maniera assolutamente geniale – “Porto Dio”. Poi si è optato per una soluzione più diplomatica. Siamo alle prese con tutti quelli che svendono la religiosità e la spiritualità porta a porta. Una marcetta feroce, dissacrante, ironica. A mio avviso, il Gazzé migliore di sempre. Mi sa che i Testimoni di Geova non l’hanno capita.
8. L’amore non esiste
Tre amici che per un periodo incrociano il proprio percorso: Fabi, Silvestri e Gazzé. Viene fuori un disco, un tour e l’immancabile disco dal vivo tratto dal tour. Tre autori dalle personalità spiccate che non si amalgamano facilmente: un’occasione non riuscita al 100%, sicuramente un momento di far cassa, per tutti quanti, e ogni tanto ci vuole. A
distanza di anni, quello che rimane dell’operazione sono i pezzi di Fabi, ispirati come sempre, e questo qui, forse l’unico autenticamente da attribuire al trio in parti uguali.
9. La vita com’è
“Ammazzo il tempo provando con l’automeditazione e canto un po’”. L’invito a prendere le cose con estrema leggerezza. Quasi un inno ad una cantabilità quasi bandabardòzziana. Suggestioni balcaniche da bignami – anche nel video, girato in Sicilia. L’ultimo vero tormentone in ordine di tempo. Di sicuro in scaletta a Prato, probabilmente verso la fine.
10. Considerando
Arriviamo all’ultimo disco, nel 2021. Un Sanremo con un pezzo non quadratissimo (Farmacista, subito dimenticato) il buon Gazzé si riprende con il secondo singolo che ci riappacifica col passato. “Considerando l’ottimismo, quel passaggio necessario a compensare la realtà / Considerando un eufemismo, dare un senso di equilibrio a questa non felicità / Considerando l’attrazione che non riesco a trattenere ad ogni tua fragilità / Semplicemente vivere / È un grado sopra il limite”. E che gli vuoi dire.