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Il Mario Cioni degli anni zero: è questo il personaggio raccontato nel nuovo spettacolo di Riccardo Goretti, dal titolo Essere Emanuele Miriati. “Stavo cercando di inventarmi una riedizione del testo di Bertolucci – racconta Goretti, attore/regista casentinese d’adozione pratese – che reputo tra i più belli del teatro contemporaneo, ricco di disperazione, originalità e sincerità, quando mi sono accorto di avercelo accanto il mio Cioni Mario, ed era proprio Emanuele”. Giovane operaio pratese, pochi soldi in tasca, con la passione e l’amore nei confronti di prostitute e transessuali, con uno slancio gioioso e rabbioso per la vita, senza arrendersi nemmeno lui sa a cosa, senza particolari ambizioni, che si accontenta della realtà che vive e che gli sta attorno: questo è il Miriati, questo è il Cioni.

Essere Emanuele Miriati” è la seconda fatica solista di Riccardo Goretti, dopo  aver fatto parte della compagnia Gli Omini ed aver portato in scena “Annunziata detta Nancy“, spettacolo in cui da solo cercava, attraverso le parole della nonna, della madre e del padre, di recuperare la storia della sua famiglia: “Ho sempre voluto raccontare storie reali, umane, normali: cercando lo straordinario dove di straordinario c’è ben poco. Nancy era partito come una prosecuzione del lavoro fatto con Gli Omini, ma con una sostanziale differenza: mentre con loro alla base avevamo un progetto teatrale preesistente, al quale ritagliavamo a puntino le interviste e le ricerche fatte, Nancy è un focus al servizio della vita che raccontavo, ossia la mia e quella della mia famiglia. In questo caso sono storie normali riportate in forma teatrale: ci tenevo a riaffermare che quelle persone che raccontavo fossero con me, nonostante io fossi lontano da casa”. Con Emanuele Miriati si fa un passo in avanti “Ho voluto esplorare le possibilità espressive grazie allo spunto di base fornitomi da una persona che, realmente, in poco più di un anno ha cambiato il mio modo di vedere le cose”.

Lo spettacolo. In scena soltanto l’attore, una sedia ed una tomba, non si capisce bene di chi sia. Anche qui il riferimento ad il Cioni di Benigni: “Tutto è partito da quest’immagine, come nel caso del Cioni in cui Benigni chiese espressamente a Bertolucci di voler fare uno spettacolo da solo in scena, interamente da recitare con le mani in tasca. Nel mio caso questo spettacolo ha iniziato a prendere forma quando ho deciso che la mia immagine sarebbe stata un personaggio che per tutta la durata dello spettacolo avrebbe parlato con una tomba“. La vita di Emanuele viene raccontata, dal suo punto di vista, e da quello di altri tre personaggi che si interrompono tra di loro in continuazione, interpretati sempre da Goretti con un minimo cambio di voce e di postura: “volevo avere oltre alla sua di voce altre tre persone che lo raccontassero, gli chiesi allora chi avrei dovuto intervistare per fare uno spettacolo su di lui. Mi indicò Luftar, ragazzo albanese che ha lavorato tempo fa con lui, Taylla, una trans brasiliana e suo padre. Durante lo spettacolo Emanuele parla di loro e loro parlano di Emanuele, intrecciandosi per raccontare questa storia, che ha molto di comico, ma che contiene una grande vena disperata e se vogliamo anche un po’ tragica”. Emanuele parla con il caro che si trova nella tomba e a poco a poco si apre,  raccontando esperienze e sensazioni che non racconterebbe mai ai vivi, intervallato da un padre distante, proveniente da una famiglia proletaria di provincia, da un ragazzo albanese che ha raggiunto l’Italia in gommone e da un trans che si è innamorato del protagonista. “Nelle mie idee iniziali c’era uno spettacolo molto più comico: il risultato in realtà è molto più disperato,  forse. Dà uno spaccato abbastanza chiaro su quello che può essere la vita di provincia in una città come Prato, in questi tempi bastardi per quattro persone che bene o male, non hanno trovato la loro collocazione nella società”.

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Le magliette “Io sono Emanuele Miriati”. Ormai è il capo dell’estate 2013, tantissime persone le hanno indossate (anche Antonio Rezza), senza nemmeno sapere niente dello spettacolo, se non che si trattasse del titolo del nuovo spettacolo di Goretti. Dietro a questo gadget, che parrebbe soltanto promozionale, c’è una spiegazione: “L’idea delle magliette era partita da un’esigenza di spettacolo. Voglio che la gente che verrà a vederlo si senta un po’ Emanuele Miriati, perché penso che lui, nella sua confusione, abbia una sincerità disarmante con cui dice cose che noi tutti abbiamo vergogna e un po’ di pudore ad ammettere. Ed ecco la maglietta che diventa un’ammissione: ebbene sì, anche io la penso un po’ come il Miriati, soltanto che non lo dico, perché non sarebbe socialmente accettabile”.
Il non aver nessun filtro, l’essere continuamente nudo di fronte a tutti, tanto da poter accettare che si metta su un palco un quadro della propria vita senza vergogna, molto spesso crudo: è questa la straordinarietà della storia di Emanuele Miriati.

Tutte le informazioni sul debutto a Castiglioncello di settimana prossima le potete trovare QUI.