Una riflessione sul rapporto tra migrazione e scuola a Prato firmata da Alan Pona, esperto di glottodidattica, e dal sociologo Andrea Valzania.
Rispetto alla presenza della popolazione di origine cinese, il contesto pratese è caratterizzato da alcune peculiarità ben precise dalle quali è necessario partire.
La popolazione residente di origine straniera (dati 31 dicembre 2023) consiste in 48.793 persone, con un’incidenza del 24,8% sul totale della popolazione residente. Tra gli stranieri residenti, 31.482 persone hanno la cittadinanza cinese, ovvero il 64,5% del totale della popolazione straniera: questo dato fa di Prato la città italiana con la più alta percentuale di residenti di origine cinese sul totale della popolazione.
Allo stesso tempo, Prato è anche la città italiana con il più elevato numero di imprese a titolarità cinese rispetto a quelle presenti sul territorio, data la spiccata propensione verso l’imprenditorialità dei migranti dovuta al cosiddetto “Wenzhou model” dal quale provengono. Queste caratteristiche hanno nel tempo prodotto significative trasformazioni sociali e culturali, modificando sia le relazioni con gli attori autoctoni, sia quelle interne alla collettività immigrata. Non ultimo per importanza, hanno comportato un cambiamento delle relazioni intergenerazionali. La collettività cinese è infatti formata da una popolazione piuttosto giovane, con un’alta incidenza di minori (circa il 24% del totale), molti dei quali nati sul territorio pratese o comunque in Italia, un tratto che rimanda alla centralità dei temi riguardanti i percorsi educativi e il sistema scolastico.
Rispetto alla presenza cinese sul territorio sappiamo ormai molto del processo migratorio e delle sue relazioni con il contesto produttivo locale, ma non esistono ricerche con un focus specifico sui processi di inserimento scolastico. Nonostante i rapporti provinciali sulla scuola, che hanno costituito a lungo la base statistica per misurare l’andamento del fenomeno, l’ultima ricerca sul rapporto tra migrazioni e scuola risale al 2004, ovvero ad un mondo che non esiste più. Eppure, Prato si conferma (dato relativo all’anno scolastico 2021/2022) la prima provincia italiana per percentuale di stranieri sul totale degli studenti: complessivamente, considerando tutti gli ordini scolastici inclusa la scuola dell’infanzia, gli alunni stranieri rappresentano il 29% della popolazione scolastica complessiva.
Questo fenomeno, in crescita costante nel corso degli anni, ha di fatto trasformato il sistema scolastico territoriale, producendo una crescita esponenziale delle classi con una concentrazione elevata di alunni di origine cinese. Le principali problematiche emerse dalla complessa gestione di queste trasformazioni riguardano principalmente gli ambiti dell’inserimento e della dispersione scolastica, aspetto quest’ultimo che sta via via assumendo una consistenza preoccupante. Secondo i dati ricavabili dall’osservatorio della Regione Toscana, infatti, la dispersione della popolazione studentesca di origine straniera è del 2,7% nelle primarie, del 6,3 nella secondaria di primo grado, del 32% nella secondaria di secondo grado.
Al fine di governare questo complesso fenomeno, il territorio si è dotato dal 2007 – come cornice di indirizzo generale – di un Protocollo di Intesa per l’accoglienza degli alunni stranieri e per lo sviluppo interculturale del territorio pratese, al quale hanno aderito Regione, Ufficio Scolastico Regionale, Ufficio Scolastico Provinciale, Provincia di Prato, i sette Comuni della provincia pratese e gli Istituti scolastici di primo e secondo grado della provincia stessa. Negli anni successivi, a partire dalla collaborazione prodotta dal protocollo, è stato implementato un modello di intervento basato su un sistema integrato e innovativo di metodologie e strategie didattiche per l’apprendimento linguistico.
A differenza del contesto nazionale, il sistema pratese si configura come un modello di immersione con supporto linguistico sistematico e continuativo, dove la popolazione studentesca con background migratorio viene inserita nelle classi curricolari per età anagrafica, o in classi immediatamente inferiori rispetto a quella corrispondente all’età anagrafica, affiancando momenti paralleli, fuori dalla classe o all’interno della classe stessa, per il supporto nella lingua della comunicazione di base e nello studio.
Nel 2018 – per la prima volta – l’Amministrazione comunale ha effettuato una rilevazione complessiva dei livelli linguistico-comunicativi di tutta la popolazione studentesca parlante italiano L2 presente nelle scuole del I ciclo di istruzione di Prato, arrivando a coinvolgere circa 5.000 alunne e alunni con background migratorio (2018, Mappatura dei livelli linguistici della popolazione studentesca straniera). Nel 2021, al fine di dare continuità all’esperienza precedente e analizzare i dati della rilevazione anche in ottica comparativa, è stata promossa una nuova mappatura dei livelli linguistico-comunicativi, che ha coinvolto più di 4.000 alunni (2022, Mappatura dei livelli linguistici della popolazione studentesca straniera), appartenenti a 18 istituti scolastici pratesi a partire dalle classi seconde della scuola primaria fino alle classi terze della scuola secondaria di primo grado.
Le due mappature ci consentono di riflettere non solo sulla presenza della popolazione studentesca di origine cinese nelle scuole ma anche sulle competenze linguistico-comunicative che questi studenti e studentesse posseggono, aspetto dirimente per poter effettuare scelte politiche in merito.
La rilevazione del 2021
L’analisi delle risposte emerse nell’ultima mappatura evidenziano alcuni elementi importanti, soprattutto se messi in correlazione con i risultati della precedente. Prima di tutto è possibile confermare l’altissimo numero di nazionalità, superiori a 50, presenti all’interno delle scuole pratesi. Ma tra tutte queste, la popolazione studentesca con cittadinanza cinese si conferma ben al di sopra della metà della popolazione studentesca straniera del Comune di Prato (61,5%). Un dato importante è anche il forte aumento degli alunni percepiti dalle e dai docenti con competenza nativa e quasi nativa , che passano dal 22,9% della scorsa mappatura al 34,7% di quella attuale, con una parallela diminuzione di studenti con competenze linguistico-comunicative più basse (sotto il livello A2), che risultano pari al 31,9% della popolazione scolastica con cittadinanza non italiana. Tra questi, in particolare, il numero delle alunne e degli alunni con competenze di livello Pre-A1 ha avuto una sostanziale diminuzione, dovuta probabilmente anche al sostanziale blocco in ingresso delle studentesse e degli studenti NAI (neo-arrivati in Italia) a causa della fase pandemica.
Nel complesso, la popolazione scolastica con background migratorio appare suddivisa in tre gruppi numericamente abbastanza omogenei: un terzo degli alunni con competenza nativa o quasi nativa, un terzo con un livello tra l’A2 e il B1 e un terzo sotto il livello A2 (livello di Sopravvivenza).
Si conferma una percentuale piuttosto alta di alunne e alunni che non raggiungono il livello B1, necessario per affrontare in modo parzialmente autonomo i testi di studio e operazioni complesse in italiano. Soltanto il 39,7% della popolazione studentesca delle classi terze della scuola secondaria di primo grado possiede competenze linguistico-comunicative pari o superiori al livello B1.
Questo dato è assai preoccupante e permette di comprendere meglio i dati pratesi dell’abbandono e della dispersione scolastica nelle scuole secondarie di secondo grado, non sempre attrezzate ad affrontare classi plurali.
Tra le alunne e gli alunni che non raggiungono in uscita dalle scuole secondarie di primo grado competenze linguistico-comunicative pari al livello B1, si rileva una incidenza maggiore della popolazione studentesca sinofona, che ha tempi di permanenza più lunghi nei livelli più bassi: il 42,9% delle alunne e degli alunni con cittadinanza cinese si trova al di sotto del livello A2 di sopravvivenza; il 42,7% ha competenze tra il livello A2 di sopravvivenza e il livello B1; soltanto il 14,3% ha competenze native o quasi native nella lingua italiana nonostante una buona parte di loro sia nata in Italia.
Il dato della popolazione studentesca sinofona è interessante anche alla luce dei risultati della mappatura delle competenze delle e degli studenti con background migratori differenti: nel campione totale, un’alta percentuale delle e degli studenti albanesi e romeni ha infatti padronanza linguistico-comunicativa nativa o quasi nativa (80,8% e 85,2% rispettivamente); risultati simili, ma con percentuali
minori, si riscontrano anche per le persone di origine marocchina (62,2%) e nigeriana (70,1%).
Una possibile interpretazione di questi risultati deve essere ricercata non solo nella distanza tipologica tra le varietà linguistiche di cinese parlate dalle e dagli studenti e l’italiano, ma anche, a nostro avviso maggiormente, nelle caratteristiche della migrazione e nelle modalità di stanziamento sul territorio di arrivo, che non permettono di entrare in contatto con la lingua italiana, per qualità e quantità degli stimoli, in modo tale da attivare processi di acquisizione linguistica che portino al raggiungimento di competenze linguistiche e linguistico-comunicative ottimali in entrambe le lingue .
Le migrazioni cinesi sono, infatti, interessate, da una parte, da un esasperato transnazionalismo, che velocizza i tempi e amplia la possibilità di mobilità spaziale accentuando una sorta di migrazione pendolaristica legata alle possibilità di un rapido successo economico e, dall’altra, dal fenomeno della cosiddetta “doppia migrazione”, che prevede un continuo movimento dei bambini lungo i due poli della migrazione – quello costituito dai genitori in Italia e quello rappresentato dalla restante rete parentale originaria (nonni, zii, altri congiunti) in Cina – e riguarda ancora oggi una parte consistente, sicuramente maggioritaria, delle famiglie cinesi a Prato, solitamente quelle di estrazione operaia e/o più povere.
In questo caso, l’investimento sull’educazione è assai limitato, per lo più rivolto alla funzione di mediazione che il minore può svolgere tra nucleo familiare e contesto di riferimento (il figlio che parla per i genitori), e spesso discontinuo (per le dinamiche ricordate sopra). Per tutti questi motivi, l’acquisizione delle competenze linguistiche per il minore si rivela particolarmente faticosa e problematica. Non meno faticosa e problematica, tuttavia, sembra essere per coloro che si sono nel tempo stabilizzati sul territorio d’arrivo. Nonostante i decenni che sono intercorsi dalle prime migrazioni, le modalità di insediamento restano anche oggi ancorate sul modello classico della chinatown, seppur non simbolicamente delimitato come in altre realtà del mondo.
Da un punto di vista micro-sociale, infatti, gli spazi di vita, di lavoro e di tempo libero, sono e restano caratterizzati da relazioni tra connazionali, anche per quanto concerne le generazioni più giovani, che tendono a distinguersi più attraverso la fruizione di luoghi per coetanei, ma sempre di origine cinese, che non attraverso la frequentazione di luoghi non etnicizzati. Per tali motivi, la popolazione studentesca sinofona ha poche altre occasioni di stimoli in lingua italiana oltre la scuola: la vita quotidiana fuori dalla scuola, infatti, si affronta in lingua cinese. Per quanto riguarda la qualità, spesso l’unico input in italiano a cui la popolazione studentesca sinofona è esposta è quello della lingua della scuola, non sempre comprensibile e sorvegliata: un input poco e per niente comprensibile non porta ad attivare processi di acquisizione profondi. Pochi sono, inoltre, gli scambi interazionali con i pari italofoni anche nella scuola stessa e questo è dovuto a interessi molto diversi soprattutto all’interno dei preadolescenti e degli adolescenti.
Scenari aperti e piste di lavoro future
L’analisi della mappatura delle competenze linguistico-comunicative della popolazione studentesca nel territorio pratese evidenzia come per la popolazione sinofona non sembrano esserci pienamente – almeno per le fasce di età prese in analisi – le condizioni necessarie per l’attivazione di processi di acquisizione profonda della L2.
A nostro avviso soprattutto due sono le piste di lavoro possibili che ci sentiamo di evidenziare: a livello locale, una maggiore focalizzazione delle politiche di integrazione culturale da dedicare alle seconde generazioni sinofone, con una particolare attenzione a quella parte che si è stabilizzata sul territorio; a livello nazionale, una maggiore presa in carico, da parte del Ministero competente, dell’inserimento e dell’accoglienza scolastica della popolazione con background migratorio, che al momento sono delegate ai livelli territoriali, pur essendo Prato – nel caso specifico – un’eccellenza grazie al significativo intervento dell’Amministrazione comunale.
Per quanto riguarda il primo punto, alludiamo a politiche di de-segregazione spaziale in grado di favorire l’interazione tra le diverse anime della popolazione presente a Prato. A tal proposito, lo spazio urbano chiamato Chinatown, nel quale com’è noto risiede la maggior parte della popolazione di origine cinese nel territorio, potrebbe diventare un palcoscenico di politiche spontanee di interazione dal basso nelle quali lasciare alle seconde generazioni un ruolo di avanguardia, come è successo in molte altre esperienze europee e nord-americane. È stato questo il caso – ad esempio – del Capodanno cinese appena concluso, che non ha soltanto visto una significativa partecipazione collettiva alle diverse manifestazioni organizzate, ma ha anche rappresentato – soprattutto nel momento dell’ingresso dei dragoni nei luoghi simbolici della città (porta Pistoiese, piazza del Comune, piazza delle Carceri e Castello dell’Imperatore) – una vera e propria consacrazione a festa cittadina, ben lontana dalle accezioni folkloristiche, da una parte, e dalle letture sinofobe, dall’altra.
Per quanto riguarda il secondo punto, auspichiamo politiche nazionali che prevedano la presenza nelle scuole di docenti qualificati, centralizzazione degli strumenti di intervento (test di livello validati da enti certificatori riconosciuti; sillabi per la programmazione didattica dell’insegnamento dell’italiano L2 etc..) e sperimentazioni con lingue delle comunità straniere presenti nel territorio, che non siano esclusivamente le seconde lingue straniere comunitarie (e coloniali) presenti nel curricolo.
Alan Pona, esperto di glottodidattica
Andrea Valzania, sociologo