Se i rumori della vita notturna sono troppo forti e quindi nocivi per la salute dei residenti delle vicinanze e non viene garantito il rispetto della quiete pubblica, il Comune è tenuto a pagare i danni. Si può riassumere così la sentenza 14209 della terza sezione civile della Corte di Cassazione.
Nel dettaglio, si legge nella sentenza, “La tutela del privato che lamenti la lesione, anzitutto, del diritto alla salute [costituzionalmente garantito e incomprimibile nel suo nucleo essenziale], ma anche del diritto alla vita familiare e della stessa proprietà [che rimane diritto soggettivo pieno sino a quando non venga inciso da un provvedimento che ne determini l’affievolimento], cagionata dalle immissioni (nella specie, acustiche) intollerabili provenienti da area pubblica, trova fondamento, anche nei confronti dalla P.A. […]
“La P.A. stessa, infatti, è tenuta ad osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni e, quindi, il principio del neminem laedere, con ciò potendo essere condannata sia al risarcimento del danno patito dal privato in conseguenza delle immissioni nocive che abbiano comportato la lesione di quei diritti, sia la condanna ad un facere, al fine di riportare le immissioni al di sotto della soglia di tollerabilità, non investendo una tale domanda, di per sè, scelte ed atti autoritativi, ma, per l’appunto, un’attività soggetta al principio del neminem laedere”.
La storia che ha portato al pronunciamento della Corte di Cassazione è cominciata a Brescia nel 2012.
La vicenda e le possibili implicazioni sono ben spiegate nell’intervista che Controradio ha fatto a Gianfranco Cartei, amministrativista dell’Università di Firenze.