Lo scorso ottobre è stato rinnovato l’affidamento dei servizi museali integrati per Prato Musei, confermando anche per il prossimo triennio la Società Cooperativa Culture. L’accordo firmato ha però, rispetto al 2019, un ribasso del 20% che riguarda i lavoratori del Pecci e di Palazzo Pretorio. Il Museo dell’Opera del Duomo, che ha deciso di fare affidamento sul solo personale interno, non fa quindi parte del rinnovo.
L’associazione “Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali” ha denunciato che “si sono realizzati i tagli e le fosche previsioni denunciate già in agosto”, quando si era unita alle segnalazioni di lavoratrici e lavoratori e alle associazioni sindacali per rendere note le criticità delle condizioni in cui gli operatori dei comparti museali pratesi lavoravano.
“Anche a Prato la cultura ha piedi di argilla: l’esternalizzazione imperante in tutto il Paese non ha risparmiato questa città, che vede larga parte del suo ricco patrimonio culturale (museo di Palazzo Pretorio, museo del Tessuto, museo dell’Opera del Duomo e il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci) affidato in gestione alla Società Cooperativa Culture, che agisce in RTI in qualità di capofila insieme ad altre cooperative”, si leggeva nel comunicato stampa diffuso ad agosto. “In particolare, al Centro Pecci, dove assieme alla cooperativa opera la Fondazione per le Arti contemporanee in Toscana, la gestione è contraddistinta da forti incertezze e scarsa chiarezza. Servizi come il Nuovo Cinema Pecci sono gestiti in maniera altalenante – si leggeva ancora nel comunicato – come dimostra la decisione presa a giugno dalla fondazione di tagliare le ore dedicate al servizio cinema per il mese di luglio: 165 ore in meno di servizio alla cittadinanza, e quindi 165 ore lavorative in meno per i dipendenti, che già oscillano fra part-time forzati, contratti a tempo determinato e contratti a chiamata (CCNL multiservizi), ottenendo come conseguenza salari bassi e maggiore precariato”.
“Quello che per la Fondazione è un servizio potenziabile o tagliabile a piacimento, a seconda dell’andamento degli incassi, per i lavoratori è parte integrante del proprio salario e della pianificazione della propria vita fuori dal posto di lavoro”, sottolineava allora una lavoratrice dei musei pratesi. A fronte di servizi “usa e getta”, anche i lavoratori subiscono la stessa sorte: nel comunicato si legge che il personale sarebbe “gestito a chiamata, con part-time involontari, senza stabilizzazione dei lavoratori a tempo determinato”, e le garanzie che Mi Riconosci? aveva chiesto in agosto sono rimaste lettera morta, mentre andavano affermandosi condizioni di lavoro sfiancanti e ingiuste: “Ho avuto tre contratti a chiamata in 7 mesi, ricevevo i turni due settimane prima, ma spesso anche il giorno prima. Le chiamate sono sempre discontinue e non mi hanno mai permesso di avere una stabilità economica. Nessuno mi ha detto niente prima della scadenza del bando, non mi hanno fatto sapere neanche se ci sarebbero state prospettive future”.
Dall’estate le cose non sono cambiate: ad essersi stabilizzata è solo l’instabilità. “Parliamo di lavoratori che vengono da anni di precariato, che non sono correttamente inquadrati nel proprio contratto di riferimento, che sarebbe quello di Federculture, mentre al momento risulta applicato il contratto multiservizi, che riguarda categorie di lavoratori diverse, mansioni diverse, retribuzioni diverse” ha spiegato a Pratosfera un esponente dell’Associazione Mi Riconosci?. “Come nei musei, anche nelle biblioteche ci sono contratti diversi, utilizzati per risparmiare. La tendenza è quella. Le cooperative purtroppo sono praticamente società, mirano ai guadagni e quindi a fare ribasso, ma le amministrazioni comunali e le fondazioni non possono essere complici di questo. Deve esserci un controllo più rigido di questi appalti, altrimenti così si andrà sempre più verso una situazione selvaggia”, prosegue.
E non è solo la dignità del lavoro il problema, ma anche la sicurezza: “Per dare un’idea di cosa significa un taglio di questo tipo per un luogo come il Centro Pecci” – spiegano lavoratrici e lavoratori museali, che per propria salvaguardia chiedono di rimanere anonimi – “basti pensare ai 3000 m2 di spazio espositivo presente nella struttura, con una capienza massima di 400 persone che necessiterebbe di una squadra di emergenza composta da 5 operatori (tutti addetti anti-incendio), invece è richiesta per la maggior parte del tempo la presenza di 3 soli operatori. Non si tratta di un mero taglio di personale, ma di una chiara violazione delle normative di sicurezza”. Gli stessi servizi tagliati durante l’appalto sono stati poi chiesti dopo, in aggiunta, suscitando l’indignazione degli operatori culturali: “Ci sentiamo presi in giro: prima tagliano ore e personale e poi richiedono personale aggiuntivo fuori dal bando? Si preferisce creare posti di lavoro precari, instabili e poveri. Ancora una volta è evidente che non c’è rispetto per i lavoratori e per le loro vite”.
“Molti sono già scappati, dando le dimissioni. E più le ore si riducono, più le prospettive di stabilizzazione si assottigliano, più è difficile per questi lavoratori riuscire ad avere anche un progetto di vita” raccontano dall’assocaizione, ricollegando la situazione pratese ad una scoraggiante tendenza nazionale che ha spinto Mi Riconosci? a tentare anche la via di Roma. “La nostra associazione ha chiesto anche un incontro al ministro Sangiuliano, per parlargli della situazione dell’esternalizzazione selvaggia della cultura, oltre che dell’applicazione del contratto Federculture e della possibilità di creare un sistema culturale nazionale che veda una gestione pubblica più organizzata, sulla falsariga del sistema sanitario, che non lasci mano libera a cooperative e fondazioni e che tuteli le garanzie per i lavoratori”.
Ma gli appelli sono anche per la città di Prato: “Ci rivolgiamo anche al Sindaco e all’Amministrazione Comunale: è un cambiamento di paradigma nelle amministrazioni pubbliche che chiediamo – dice – L’alternativa è ridurre i servizi, ma è qualcosa che le amministrazioni per prime dovrebbero evitare per i cittadini. La nostra richiesta è di evitare di continuare a favorire questi ribassi, aiutarci ad invertire la tendenza e ascoltare i lavoratori e tutte le sigle sindacali”. Questo perché, spiegano dall’associazione, USB, che pure a lungo si è occupata della tutela dei lavoratori del comparto cultura, è stata esclusa dalle trattative tenute dalle altre sigle sindacali e l’amministrazione comunale.
Il supporto politico alla causa degli operatori culturali è stato pressoché nullo. “Una sola eccezione è da segnalare: quella dei Giovani Democratici – racconta – dai quali abbiamo ricevuto una manifestazione di interesse molto forte e molto seria: siamo stati coinvolti e invitati in tavoli di lavoro organizzati da loro e insieme ad alcuni esponenti del PD, tra cui il segretario PD Marco Biagioni, al fine di strutturare delle proposte. Una collaborazione che sta andando avanti e che speriamo di continuare a portare avanti con elaborazioni anche pratiche nei prossimi mesi”.