Appino e soci salgono sul palco sulle note della colonna sonora di “Amici miei” di Carlo Rustichelli. Ed è logico che sia così: gli Zen Circus sono gli Amici Miei di questo momento storico. Sono un gruppo di non più giovani in eterna lotta con il tempo che passa, con il proprio vissuto e con quello che sarebbe potuto essere: una guerra e una pace continua, intrisi di quella malinconica allegria esattamente come lo erano il Conte Mascetti e i suoi sodali.
Gli Zen Circus al Pecci si esibiscono in un anfiteatro gremito, dopo due anni di stop e dopo un disco chiamato “Cari fottutissimi amici”, inciso in collaborazione con amici e colleghi. Però l’ultimo disco nella scaletta della serata è presente pochissimo, consapevoli che i pezzi che contano e che toccano quelle corde che il pubblico vuol sentir suonare sono altri. E allora Catene, Il fuoco in una stanza, Il mondo che vorrei, che tutti cantano all’unisono con Appino, strofe e cori.
«È una scaletta fatta coi dadi, quella di stasera» ci comunica Ufo più di una volta: il gruppo si diverte a fare pezzi che mancano dalle scalette da diverso tempo, come “Andate tutti affanculo” o “Ragazzo eroe”, eseguita con chitarre e bassi acustici e l’asse per lavare i panni come batteria (il tutto in perfetto stile Violent Femmes, è ovvio). Altro momento inaspettato è una versione de “L’amore è una dittatura” per piano e voce, a dimostrazione che quel pezzo strano e iper-arrangiato che portarono a Sanremo in realtà, se lo spogli, è una gran canzone. Il finale del concerto è consegnato a quell’anti-singolo di dodici minuti che il gruppo pisano ha inciso con Motta e che risponde al nome di “Caro fottutissimo amico”. Se la coda finale del brano, ascoltata su Youtube o su Spotify, ha fatto storcere qualche bocca, dal vivo quell’incedere psichedelico funziona non poco ed è un ottimo finale di concerto.
Il gruppo risale per gli ultimi due pezzi (L’anima non conta e Viva) e a questo punto il pubblico sale sul palco con loro, facendo una vera e propria invasione di campo e mischiandosi con i musicisti. La conformazione dell’anfiteatro del Pecci permette questo, se non ci sono le transenne, e questo è successo – con grande dispiego di security e tecnici a sorvegliare la situazione, ma alla fine senza danni a persone e cose. Appino e soci scendono dal palco sulle note di “Adius” di Piero Ciampi, in cui il nostro apostrofava una donna con uno dei più bei vaffanculo che siano mai stati messi in canzone: lei, gli intellettuali e i pirati. Tutto perfettamente in linea con gli Amici Miei e con la serata. Come diceva Rambaldo Melandri, “Ma perché non siamo nati tutti finocchi?”