La serata di domenica 3 luglio, serata conclusiva del Prato Film Festival, si preannuncia come imperdibile. Si ricorderà la figura di
Renzo Montagnani e, con un premio in suo onore, verranno premiati due degli attori che, in quel momento d’oro del cinema italiano, hanno
condiviso con lui pellicole, battutacce, donne avvenenti e incassi. In quell’occasione si celebrerà la cosiddetta “commedia sexy” che dalla
metà degli anni 70 fino alla metà degli ottanta rappresentava numericamente almeno il 50% dell’offerta cinematografica, con titoli
che stazionavano in seconda o terza visione anche per mesi o stagioni intere.
La commedia sexy ha replicato se stessa per quasi un decennio: erano pellicole dove l’erotismo occupava in maniera ammiccante o
grottesca l’intera trama. Donne bellissime assediavano la scena guardate dal buco della serratura mentre facevano la doccia, concedevano a favor di camera al massimo un seno o due, ma questo bastava a suscitare reazioni a catena negli attori e nel pubblico. Annamaria Rizzoli, Edvige Fenech, Gloria Guida, Nadia Cassini, i loro nomi. Professoresse, studentesse o ripetenti, dottoresse, infermiere o soldatesse, i loro ruoli.
Il resto lo facevano i caratteristi, con battutacce da caserma, tra il clownesco e il pecoreccio, dove la flatulenza era la normalità e lo sbeffeggiamento del diverso era parte integrante della comicità. E il cinema moriva dal ridere, come diceva qualche critico con la puzza sotto il naso.
In realtà il cinema, anche e proprio grazie a pellicole come queste, godeva di ottima salute, e per alcuni produttori illuminati gli incassi di un Lino Banfi portavano fieno in cascina per poter osare in qualche film d’autore (in quel tempo la Rai e lo Stato non erano ancora diventati produttori cinematografici).
In assenza di trame complesse, con sceneggiature di due pagine e l’attenzione sul corpo delle protagoniste, il film vero e proprio lo facevano i caratteristi. Attori che erano vere e proprie maschere che ripetevano i loro ruoli di film in film, come in un’eterna reiterazione della commedia dell’arte. E due caratteristi d’eccezione erano proprio Lucio Montanaro e Alvaro Vitali, ospiti del Prato Film Festival. Due autentiche facce da schiaffi. Due pesi massimi della vessazione. Non so chi dei due abbia preso più schiaffi da Lino Banfi, Montagnani o qualche altro padrone del circo, e dove loro, clown rossi, subivano e piangevano lacrime ridicole e cercavano furbescamente di ribellarsi senza riuscirci mai.
Lucio Montanaro da Martinafranca ha una faccia perfetta per essere la spalla di qualsiasi altro comico. Di quelle spalle che ti impallano, che ti rubano l’attenzione. Che interpretasse lo studente o il carabbiniere (rigorosamente con due B), il soldato, il parroco o l’imbranato usciere del ministero, la sua faccia finiva sempre per toccarne o per replicare quell’espressione ebete con la bocca semiaperta mentre le sue reazioni in pugliese tracimavano dallo schermo. In seguito ha fatto il salto di genere: dalla commedia sexy è passato ai camorra-movie come scagnozzo di Mario Merola (titoli come Carcerato, il Mammasantissima, Tradimento, Giuramento) per poi trasferirsi nel Tempo delle Mele di Mergellina degli anni 80, diventando di fatto il miglior amico di Nino D’Angelo nei suoi film di culto. Quell’amico che non batteva chiodo a differenza del caschetto biondo pieno di buoni sentimenti.
Alvaro Vitali da Roma ha una faccia felliniana – ed infatti è proprio da Federico Fellini che viene scoperto. Appare nel Satyricon, ne I
Clown e in Roma. Poi, è un tripudio di insegnanti, soldatesse, liceali, ripetenti, dottoresse, poliziotte, infermiere, segretarie. Romano de Roma con accento smaccato rilanciato da un’inconfondibile voce stridula, appare in un centinaio di film, e dal 1976 al 1982 arriva a girare anche otto film all’anno. Il suo ruolo ideale è quello del bidello, ovviamente vessato dal preside, che ha le sembianze di Montagnani, Lino Banfi o Mario Carotenuto. Quando c’è da spiare dal buco della serratura non si tira mai indietro. Poi, verso la metà degli ottanta, la sua consacrazione con la creazione del barzelletta-movie per antonomasia: diventa Pierino, il pestifero bambino di terribili e risapute barzellette. La sceneggiatura dei film in questione sono già scritte nell’immaginario collettivo: la gente corre a vederlo in massa, e, pur conoscendo già tutte le barzellette,
ride lo stesso. Un miracolo che non si spiega. Lui spolpa il personaggio come e quanto può, e anche quando interpreta film che vorrebbero essere qualcosa di leggermente diverso (Gigi er Bullo, Gian Burrasca, Paulo Roberto Cotechiño centravanti di sfondamento) sempre Pierino rimane. E’ il suo canto del cigno. Però secondo me s’è divertito tanto.
A Prato, quindi, nella serata di domenica si tornerà a scuola. O al distretto militare, o alle grandi manovre. Alla ricerca di quella professoressa che faceva girare gli studenti, i professori, il bidello e il preside. O di quell’infermiera che ti fa la puntura. Di un mondo univocamente ammiccante e mai sfacciatamente esplicito da diventare pornografia – i film non erano mai vietati, o al massimo ai minori di 14 anni. Erano diretti ai ragazzini in fase puberale (e infatti, i ragazzini in fase puberale di allora, quei film se li ricordano bene.)
Ma Prato, città che è stata set di tanti film grazie a Benigni e Nuti, è mai stata set di una commedia sexy? La risposta è sì. “L’insegnante
balla… con tutta la classe”. Film del 1979 diretto da Giuliano Carnimeo con Renzo Montagnani, Alvaro Vitali, Lino Banfi, Mario Carotenuto, e dove nei titoli di testa il fondoschiena di Nadia Cassini corre ripreso in pianosequenza da Piazza del Duomo per via Firenzuola e un po’ per tutto il centro di Prato. Altre scene sono state girate nella vecchia sede delle scuole Filippino Lippi, altre nella discoteca di Pratilia che allora si chiamava ancora Joy Joy. Il film non verrà proiettato nella serata di domenica – ed è un peccato, perché sarebbe una curiosa testimonianza di un cinema – e di una Prato che non c’è più.