Che cos’è TiPo oramai lo sappiamo: è una rassegna fortemente voluta dal Comune e da molte entità culturali e produttive del territorio che fa sì che una volta al mese, a rotazione, una manifattura tessile si trasformi in un luogo per un concerto o per uno spettacolo teatrale. Molti lanifici di zona e molte realtà industriali si sono prestate a questa opportunità, organizzando visite ai luoghi di produzione e ribadendo il fatto che oltre ai tessuti nel distretto si fa cultura. Che sia un’iniziativa lodevole non sono il primo a dirlo: non fosse altro per il fatto che gli artisti o gli attori in questione si esibiscono in luoghi che solitamente hanno altri ritmi e altri suoni, e la cosa ha senza dubbio il suo fascino. E così è stato anche il 30 aprile, quando lo stabilimento MANTECO (Mantellassi Compagnia Tessile) di Montemurlo ha ospitato il concerto di Riccardo Sinigallia.
L’artista e produttore romano (che al di là delle canzoni in proprio è responsabile del suono e delle scelte musicali di molto del pop d’autore da vent’anni a questa parte, da Tiromancino a Niccolò Fabi, da Luca Carboni giù giù fino a Motta e Coez) ha allestito il suo set nell’archivio tessile, esattamente tra lo schedario dei tessuti e l’esposizione dei capi in produzione. Un set minimale: due chitarre, un basso semiacustico – più un piano elettrico esclusivamente dedicato ad una parte in solitaria – con cui Sinigallia ha ripercorso i punti salienti del suo repertorio davanti a una sala piena di gente seduta davanti ai campioni di tessuto meticolosamente archiviati e consultabili. Un concerto quasi sottovoce, raccolto, che strappa ai presenti timide battute di mani a tempo quasi a sopperire una ritmica che non c’è, e grandi applausi alla fine dei pezzi in scaletta.
Le canzoni di Sinigallia scivolano via, battistianamente, evitando le buche più dure: da “Ciao Cuore” a “Bellamore”, da “Prima di andare via” a quella “Descrizione di un attimo” scritta per i Tiromancino oramai vent’anni fa e che ancora fa la sua figura; vi trovano spazio l’omaggio a Enzo Carella (una “Malamore” particolarmente convincente, con un testo di un giovane Pasquale Panella già nella sua enigmatica e poetica maturità) e quello a Lucio Dalla (“Com’è profondo il mare”, in versione minima ma intensa, e con fischio annesso). Ma i momenti più significativi del concerto sono costituiti da quel pugno di canzoni che il nostro ha scritto insieme ad un altro cantautore romano, purtroppo poco conosciuto, che risponde al nome di Filippo Gatti. Le canzoni in questione sono “Le ragioni personali”, “Che non è più come prima” e la conclusiva “Una rigenerazione”: tre momenti che anche in una versione minimale e sussurrata raccolgono tutta la complicità necessaria con il pubblico, attento e perfettamente amalgamato con l’industriale scenografia dei colori dei tessuti tutt’intorno.