Alessandro Fiori rischia di essere un segreto custodito negli hard disk e nelle discografie di tutti gli addetti ai lavori. Ci scherza amaramente anche lui nella sua biografia (“può essere considerato il cantautore preferito del tuo cantautore preferito”). Al suo attivo, tra dischi solisti e progetti che l’hanno visto protagonista (i Mariposa su tutti, voce solista e compositore per ben oltre un decennio) si contano oltre venti lavori e oltre vent’anni di carriera.
Un personaggio unico nella canzone d’autore che ancora non ha raccolto quello che merita, che esce oggi, 22 aprile, con il suo nuovo disco di canzoni d’amore, intitolato “Mi sono perso nel bosco” (42records). Il disco arriva a sei anni di distanza dall’ultimo album (Fiori non è tipo da fare dischi per forza), si trova in tutti gli store digitali e in una versione limitata e numerata a mano in vinile bianco (più cd slim), oltre al classico formato in cd. Ed è un disco che, per quanto mi riguarda, mette una seria ipoteca sugli ascolti dei prossimi mesi.
Entrare nel mondo di Alessandro Fiori è sempre stato ostico, ci voleva volontà e una buona dose di ironia – merce rara e non per tutti. Non stavolta. Stavolta, pur avendo realizzato probabilmente – dal punto di vista della realizzazione musicale – il disco più complesso della sua discografia, Fiori ti dà le chiavi per entrare nelle sue storie. Le dodici canzoni che compongono questo “Mi sono perso nel bosco” sono dodici canzoni d’amore, in cui ti porta nel suo microcosmo poetico e non ti chiede sforzi o approcci intellettuali per entrarci dentro. Continua il lavoro che aveva affrontato con il suo primo disco da solista, “Attento a me stesso” del 2010, con una messa a fuoco maggiore e con maggiore intensità. In parte queste canzoni le avevamo ascoltate due anni fa in un concerto al Festival delle Colline, dove Alessandro Fiori suonò prima di Paolo Benvegnù e presentò solo ed esclusivamente brani appena scritti per vedere che effetto facevano. L’effetto, allora come adesso, è di un lavoro di grande maturità. L’amore visto in soggettiva, in corsa, prima e dopo, nella sua presenza e nella sua assenza. Un disco che ti disarma.
Tantissime le collaborazioni, da Dente all’ex sodale Enrico Gabrielli, da Iosonouncane a Colapesce, ed è prodotto artisticamente da Giovanni Ferrario e Alessandro Asso Stefana, collaboratori e responsabili del suono di tanti signori artisti, da Capossela a PJ Harvey). Musicalmente siamo tra la canzone d’autore più classica, quella della scuola genovese (il quadretto di “Una sera” su tutti, un vero e proprio cortometraggio in bianco e nero, degno di un Tenco o del primo Gaber) e certi contrappunti di psichedelia à-la Flaming Lips. Ad un primo ascolto si rimane colpiti dai duetti più importanti. Quello con Levante (“Fermo accanto a te”) che viene coinvolta nel racconto di un tentativo di riavvicinamento tra due ex. Un duetto d’amore inusuale, proprio perché privo di speranza e di lieto fine: il fuoco è spento e non ha possibilità di riaccendersi, e il desiderio di vicinanza con la di lei ascella assume un risvolto poetico finora inedito in canzone. E quello con Brunori (“Io e te”), dal titolo di Jannacciana memoria, dove si rimpalla col cantautore calabrese i propositi futuri di una coppia che farà guerra alla guerra.
Lascia il segno anche la canzone che già all’ascolto due anni fa fece scaturire la lacrimuccia irrazionale, il quadretto gozzaniano-futuribile di “Per il tuo compleanno”, altra perla grezza di poesia. Chiude infine il disco “Troppo silenzio”, con la strofa in sardo (nel dialetto di Sorso, terra natale del padre di Alessandro Fiori) e il ritornello ispirato a Calderon de la Barca, dove dichiarando che “la vita è solo il sogno dimenticato da un altro sogno” si arriva al momento più complesso e romantico del disco, con echi del miglior Capossela popolare e dove i sintetizzatori di Iosonouncane ne tessono l’inquietudine.
Un disco che fa ben sperare, per il futuro della canzone d’autore e anche per quello di Fiori, un segreto cui auguriamo di rivelarsi a quante più persone possibili.