Il sollievo si percepisce ascoltandola, davanti ad un bicchiere di vino, mentre racconta la sua storia. Manca spesso il coraggio alle persone per diventare se stesse. Non è il caso però di Ludovica Barone, giovane fotografa pratese, che a quel coraggio ha affiancato il sincero appoggio di una famiglia che la sorregge mentre è intenta a dar forma al suo futuro. Milano, col tempo, è diventata la sua seconda casa, ma Prato resta Prato “almeno per ora, poi tra 10 anni chissà”, sorride.
Classe ’99, diploma linguistico conseguito al Copernico, babbo e mamma entrambi avvocati, uno penalista e l’altra civilista – manco a farlo apposta – e uno studio avviato in città da oltre vent’anni. Con un eloquio fin da piccola a prova d’arringa, sembrava l’erede perfetta.
Tutti d’accordo Ludovica, tranne te.
«I miei hanno sempre avuto grande stima di me. Mi reputano una persona intelligente e avrebbero apprezzato se avessi seguito la loro strada, senza mai forzarmi tuttavia nella scelta. All’inizio tentai addirittura con architettura, ma toglieva spazio proprio alla fotografia, così desistetti. Scegli quindi giurisprudenza a Firenze nel settembre del 2018, convinta che la legge fosse la mia strada».
Galeotta fu la macchina fotografica e chi te la dette dunque.
«Fu proprio mia madre. In II liceo. Una Canon easy. Uscivo, andavo a Firenze con un amico che si “prestava” a farmi da modello. Tornavo a casa, riguardavo il materiale e pensavo: “beh, dai, non male”, senza dargli troppo peso. Poi divenni la fotografa ufficiale dei 18esimi a Prato. Mi chiamavano i figli degli industriali del tessile. E i miei lavori piacevano. Ma io continuavo a vedere la fotografia come un passatempo, e non come un lavoro vero e proprio».
E intanto però che fine faceva la carriera da avvocato?
«Primo anno abbastanza bene, esami sostenuti, però fingevo che mi piacesse. Per contro, la mia passione prendeva sempre più campo: prima Pitti, a scattare tutto il tempo ai modelli, e poi subito dopo cominciai a lavorare come fotografa in alcuni locali notturni, come lo Yab a Firenze e il Naif qui a Prato. Il mio nome destava curiosità e in giro si accorgevano dei miei lavori: una sorta di tam-tam metropolitano».
Qual è stato il momento spartiacque della tua vita, quello che ti ha fatto abbandonare l’università per dedicarti anima e corpo alla fotografia?
«Nel 2020, durante la quarantena. Ero indietro con gli esami, però quando era consentito uscire, il mio unico desiderio era quello di imbracciare la macchina fotografica e scattare. Mi bastava solo quello. Ed era la cosa che più mi faceva star bene. Al che mio padre cominciò ad insospettirsi».
Immagino la reazione. Qualche esame saltato e tu che invece di studiare te ne scappi fuori a far foto.
«Tutt’altro. Mi prese da parte e mi disse: “Ludo, la fotografia ti piace, non pensi sia il caso di lasciare giurisprudenza e fare la fotografa per davvero?” Mi spiazzò, ma fu un enorme sollievo per me, perché anche mia madre mi appoggiava. Avevo paura di deluderli smettendo di studiare. E invece mi sbagliavo, eccome».
Strada spianata verso Milano dunque. Armata di partita Iva.
«C’era uno workshop due anni fa sulla fotografia proprio a Milano, e da lì cominciai a collaborare con Vogue ed altre riviste patinate. Così il 7 aprile del 2021 decisi di mettermi in proprio, una data che difficilmente scorderò (sorride ancora, ndr): ero agitata e nervosa, ma facevo ciò che mi piaceva di più, per questo non avevo paura. La moda era ed è il mio campo. Milano servi da apripista anche qui a Prato, perché dopo alcuni lavori venni contattata da riviste ed aziende del territorio con le quali collaboro tutt’ora”.
Che città trovi tutte le volte che torni dalla Lombardia?
«Una città sottovalutata, a volte un po’ provinciale. C’è poca voglia di mettersi in discussione, di rischiare. E si sfrutta poco la connessione con Firenze. Però è anche molto più stimolante, specie nell’ultimo periodo. È migliorata tantissimo. Molto più giovane e vivibile. Con tanti locali. Ti permette di emergere poi, se hai qualità. Milano ti affascina, ma è molto più competitiva, così come Londra dove lavoro qualche volta e dove vive il mio fidanzato. Il centro di Prato poi è più a misura d’uomo e vederlo così illuminato durante le festività natalizie mi ha emozionato».
Dov’è tra dieci anni la Ludovica fotografa?
«Magari proprio a Prato, chi lo sa. Vorrei però seguire sempre il mio lavoro. E avere la possibilità di aprire uno studio tutto mio, che selezioni e premi piccole realtà da poter aiutare a far emergere. Che punti sul merito e permetta a tanti giovani come me di rincorrere un sogno. Che non sempre è la strada più facile, ma spesso è la migliore».
Vuoi raccontarci la tua “decisione”? Scrivi a [email protected]