Pacifico è uno degli autori di canzoni più apprezzati in Italia. Ha scritto canzoni per Gianna Nannini, Andrea Bocelli, Adriano Celentano, Gianni Morandi, Malika Ayane, Zucchero, Motta, La rappresentante di Lista. Domani, domenica 29 agosto, sarà in concerto all’anfiteatro di Santa Lucia per il “Settembre – Prato è spettacolo” con il suo tour acustico “Un anno che pare sognato”. Biglietti disponibili su Ticketone o direttamente la sera del concerto.
In parallelo alla carriera di autore, Pacifico da 20 anni fa il cantautore, il compositore di colonne sonore e di musica per teatro.
Quando una canzone si può dire perfetta?
«L’unica volta che in vita mia incontrai Lucio Dalla parlammo della mia canzone “Le mie parole” che da poco aveva inciso Samuele Bersani in un suo disco. Mi disse “quando ti arriva una canzone così lo capisci, vedrai che ti capiterà altre due o tre volte nella vita”. L’artista o il compositore per inclinazione sono personaggi insicuri, quindi è necessario a volte togliergli di mano il loro lavoro, basta pensare a De Gregori che tenne chiusa in un cassetto per decenni “La Donna cannone”, che possiamo definire tranquillamente una canzone perfetta. E anche la tesi di Dalla si smentisce da sé, dato che lui di canzoni “così” ne avrà fatte almeno una trentina. Per quanto riguarda invece il mio lavoro autoriale, una canzone si perfeziona con la voce dell’artista che la canterà. “Sei nell’anima” nella mia demo era una dolce bossa nova, poi la inviai a Gianna Nannini che la rese stupenda. Se una canzone poi diventerà “intoccabile” lo sancisce poi il pubblico».
Collabori con tre generazioni di artisti musicisti (da Motta a Ornella Vanoni, da La Rappresentante di Lista ad Andriano Celentano, passando per Malika Ayane, Gabbani). Come funziona la scrittura per un altro artista e se cambia il tuo approccio tra età così diverse.
«Le prime canzoni che ho scritto per altri sono state “I passi che facciamo” per Celentano, “Sei nell’anima” per Gianna Nannini e “Stringimi le mani” per Gianni Morandi. Inizialmente era un lavoro più statico, oggi passo a lavorare con Bocelli e il giorno dopo con La rappresentante di lista, scrivo tantissime canzoni nella grande maggioranza inutili. Forse adesso ho più occhio, so quando è necessario un mio intervento, ricerco lo stesso entusiasmo degli inizi».
«Ho sempre coltivato l’interesse per la scrittura e per il rapporto con gli altri, in questa ottica il rapporto autoriale è perfetto: l’artista sente che non c’è competizione ma vede in me un gregario utile che cerca di portare l’acqua e far arrivare la canzone alla fine. Ho sempre un’ossessione affinché la canzone funzioni, qualunque sia. Mi fido del mio istinto e vedo che dall’altra parte – che abbia 28 anni o 80 – c’è la stessa voglia che la canzone venga al meglio. Intorno a quel quaderno e la chitarra – gli unici due strumenti indispensabili attorno al quale tutto gira – si trovano due artisti che cercano la quadratura del foglio».
Quando scrivi?
«Ho iniziato a scrivere tardissimo, a 37 anni. La scrittura è un elemento fondamentale della mia vita: scrivo canzoni, ho fatto un monologo teatrale, sta per uscire il mio secondo libro. io scrivo tutti i giorni, quando non scrivo sono come un atleta che non corre da due giorni ho paura di perdere una certa dimestichezza e chiarezza di pensiero. Prima mi prendeva tutto il tempo possibile adesso, con un figlio di 10 anni, allo stesso modo mi alzo al cuore della notte per avere 2 o 3 ore pulite».
Un cantautore per poter comporre ha bisogno di vivere, di provare esperienze di vita. Come hai passato gli ultimi due anni di chiusure?
«È stato un anno che abbiamo affrontato a mani nude e che chi avrà le parole saprà descriverlo».
«L’autore ha bisogno di esperienza e poi di distanza per poterle far depositare e tirare fuori qualcosa. All’inizio di questo periodo la quantità di vita “nuova” è stata così tanta che c’era da gestirla più che da descriverla. Basti pensare al nuovo rapporto con le persone, la distanza, le mascherine, le fine ai supermercati, la mancanza di lavoro. C’era tanto apprendistato da fare, oltre alla gestione della paura o al cercare di orientarsi in mezzo a tutte le informazioni. Durante questi periodi, quando cercavo conforto nella scrittura, non riusciva a venire fuori niente. mi arrivavo col conforto della scrittura, era un momento sterile. Io sono sicuro che nei prossimi dischi di cantautori ci saranno tante tracce che rimarranno, che la canzone scritta il mese dopo non avrebbe avuto. Anche le orecchie che ascoltano hanno bisogno del ricordo più che dell’esperienza in diretta. Ho scritto una colonna sonora per un film in questo periodo ed è stata salvifica perché ho potuto lavorare in studio sulla musica e poi ho sperimentato, insieme ad altri artisti la video scrittura, a distanza, che prima ci metteva tutti in difficoltà e adesso è diventata quotidianità molto produttiva, ognuno dalla sua casa in pigiama o col caffè in mano».
Nella scaletta del concerto c’è “L’animale” di Franco Battiato. Un ricordo del cantautore scomparso da pochi mesi.
«I grandi maestri non ti possono insegnare tanto, però ti possono dare delle autorizzazioni come se dicessero “guarda che di là puoi passare” e dare contro a quel tuo carceriere che ti tiene imprigionato. Faceva incontrare magnificamente la libertà espressiva alla capacità di andare contro le attese e le strade già sperimentate, un vero dono naturale. Un tipo di impudenza e di gioco non sono mie, ma che hanno aggiunto dentro di me un tassello che da solo non sarei riuscito a trovare».