«Combattere contro la Peste. E so anche che non basta alzare gli occhi al cielo una volta per tutte: è una dinamica, come stare in equilibrio su una barca tra le onde. Equilibrio dinamico, che richiede continuo ascolto e adeguamento del peso per non cadere» (Cristina Pezzoli).
Venerdì 2 luglio alle 12 al Teatro Borsi di Prato, ad ingresso libero, sarà messa in scena una conversazione sul teatro in ricordo di Cristina Pezzoli, scomparsa lo scorso anno, regista teatrale e animatrice di alcuni importanti progetti sull’inclusione a Prato.
Il 2 luglio dell’anno scorso, alla villa Rospigliosi di Pistoia, alla data del suo compleanno e a poco tempo dalla sua morte, un gruppo di amici e artisti hanno deciso di dedicare il 2 luglio di ogni anno all’approfondimento delle cause della Peste e a discutere sulle cure da avviare immediatamente.
Per la prima edizione di questo appuntamento, gli amici e colleghi di Cristina si troveranno idealmente con lei, a Prato, per parlare di cose alla quale lei credeva fermamente. Fra gli amici che hanno dato l’adesione all’evento ci sono Paola Donati, Letizia Russo, Francesco Migliaccio, Pamela Villoresi, Davide Iodice, Serena Sinigallia e molti altri.
“La pandemia ha fatto da catalizzatore a problemi preesistenti, acutizzandoli e mostrandoli in tutta lo loro drammaticità – si legge nella presentazione – Il lockdown ha congelato le attività artistiche e lavorative concedendo un tempo al pensiero e a una distinzione tra come si mostrava il teatro prima e come è adesso. È evidente che nei giorni antecedenti a questo tempo di pandemia il teatro, come anche altre realtà italiane, era affetto da un’altra malattia, taciuta ma terribile e contagiosa. Riconoscere che il teatro ha duramente sofferto, come tanti altri ambiti culturali, di una Peste dell’anima è necessario perché il teatro e l’arte possano sorgere. Non si tratta infatti di ricominciare a fare teatro, semmai di cominciare a farlo per molti aspetti – si legge ancora – Cristina Pezzoli diceva in vari modi che l’anima, come l’ambiente, può subire le colate di cemento al punto da non ricordare, sentire e contemplare più nulla. In questo tempo pandemico, l’industria cementifera è stata costretta a fermare i macchinari, e molti hanno avuto la possibilità di accorgersi di quello che avremmo perduto maggiormente se fosse andata ancora avanti”.