serena altavilla
fotografia di Jacopo Benassi

Serena Altavilla ha pubblicato il suo primo disco solista dopo una carriera costellata di band e collaborazioni. Morsa è uscito per l’etichetta Black Candy, con in copertina (e nel retro di copertina) una fotografia di Jacopo Benassi, corredato da video e con la consacrazione a disco della settimana di Controradio, oltre a una serie di recensioni praticamente infinita che potete tranquillamente trovare in giro per il mondo virtuale e di carta, come quella su Internazionale.

È disponibile anche sulle piattaforme streaming, ma qui vi consigliamo spassionatamente di comprarvelo: a parte il fatto che toccare un disco con mano sia una soddisfazione che un MP3 non vi darà mai, Morsa è un prodotto curatissimo. Ma non ve ne parliamo qui, perché ce lo ha raccontato lei qui sotto.

Abbiamo anche parlato di mele avvelenate, ed è stato bellissimo.

Facciamo finta che io non sappia chi sei: chi è Serena Altavilla?
Sono una persona che canta da sempre, che vuole cantare da sempre e lo fa. Ho iniziato a cantare presto, prestissimo e ho avuto molte belle band, anche molto importanti, dal 2004. I Baby Blue, che poi si sono trasformati in Blue Willa, grazie ai quali ho girato in tutta l’Italia e anche all’estero, abbiamo lavorato con Paolo Benvegnù, Carla Bozulich…dopo di che ho avuto un’altra band che si chiamava Solki, anche li era un power trio e anche li abbiamo girato e macinato, perchè poi suonare è girare, viaggiare. E poi ho collaborato, contemporaneamente, con Calibro 35, con i Mariposa, ho cantato per tanti anni nella Band del Brasiliano, una band da party, da festa, con un repertorio anni ‘70, sigle di programmi: ricercato ma all’insegna della festa. E altre collaborazioni che ora non mi vengono in mente. Tundra Orbit, certo.

Un sacco.
Un monte! Dove potevo mi sono misurata!

Tra l’altro, se non mi sbaglio, i Baby blue sono anche nel libro fotografico sul Rock Contest.
Si, fu proprio la prima esperienza: si formò il gruppo alla fine del 2004 e ci si iscrisse all’inizio del 2005, proprio senza sapere niente di niente a parte che volevo fare quello. Fu proprio catapultante, subito alla Flog…insomma, tanta roba, formativo. Poi c’erano tanti gruppi ganzi in quel periodo, come i Tribuna Ludu.

Il discorso è che sei sempre stata in una band, invece ora sei tutta sola soletta: che cosa è cambiato, sia da un punto di vista di composizione che da un punto di vista mentale?
E’ stato proprio un bisogno di espansione, sia dentro di me che fuori. Però questa volta non volevo pensare e decidere una formazione, non riuscivo mentalmente a pensare a una formazione stabile con cui sviluppare i pezzi: i pezzi sono nati in modo semplice, piano e voce o chitarra e voce, e potevano avere mille vestiti. E’ un percorso diverso perché nella band succede che hai l’ispirazione e la sviluppi in sala prove, con un confronto quasi quotidiano. Invece questa volta volevo stare in studio con un produttore, guardare succedere la produzione, l’arrangiamento, volevo vedere il vestito che si tesseva lentamente sulle canzoni. Ed è stato bellissimo, una figata: perché ho sottoposto i provini a Enrico Gabrielli, che ha avuto l’intuizione perfetta di farmi conoscere Marco Giudici. Io lo conoscevo come musicista, l’avevo visto suonare dal vivo, ma non sapevo fosse anche un produttore e avesse uno studio. Enrico Gabrielli ha acceso questa miccia e da li si sono dipanate le cose, sono successe da sole. Marco ha capito i pezzi, li ha accolti, ci è entrato in connessione, ci siamo visti tutti e due e lavorare è stato bellissimo. Ed è un processo nuovo, molto nuovo, per me.

Il processo di registrazione quando è successo? Eri in mezzo alla pandemia o è successo prima?
No, abbiamo iniziato a registrare nel giugno 2019.

Salva.
Salva, esatto. I musicisti venivano tutti, abbiamo fatto il calendario incastrando i musicisti: tutti sono venuti singolarmente in studio o siamo andati noi da loro. Per il contrabbasso siamo andati noi a Bologna, oppure Valeria Sturba, la violinista, corista, theremin, voce incredibile, ha lavorato a casa sua e ha mandato il materiale. Questo poi è stato tutto rielaborato.

Hai fatto un disco nomade.
Si, è stato raccolto tutto prima della pandemia, veramente a pelo. E poi c’è stato l’isolamento e abbiamo lavorato a distanza su missaggio e altre rifiniture.

Sei uscita con la Black Candy, che è roba. Non è l’ultima etichetta del mondo. Come sei arrivata alla Black Candy?
Black Candy la conosco da una vita, è capitato durante i concerti, o comunque anni fa partecipai a un EP di un loro gruppo che si chiama Velvet Score. Già li ci eravamo conosciuti e io devo loro molto perché questo disco è stato tutto autoprodotto: sono stata sola finché loro non mi hanno ascoltato e hanno accolto il progetto a braccia aperte. Una cosa bellissima, non scontata: hanno creduto molto nel disco e ci siamo trovati a metà strada. Io avevo finito il disco e loro mi stavano cercando.

E invece la copertina è una foto di Jacopo Benassi. Allora, di solito lui le foto alle persone le fa sempre neutre: lui ti dice proprio di stare neutro, non fare espressioni o facce strane. Però tu qui non sei neutra nemmeno a pagarti!
Eppure mi sono anche impegnata!
E’ stato bellissimo, quel momento li. E’ stato maieutico. Io ho dei problemi a stare ferma con la faccia, dei problemi con la mia faccia, come tutti. Non mi sta ferma, quindi stare immobile è peggio che dire non ridere, e ridi subito. E’ stato forte e delicato allo stesso tempo: mi faceva muovere lentamente. E’ stato paziente, perché sapeva cosa voleva ottenere: infatti io ho quasi la sensazione di sapere il momento in cui ha fatto quello scatto li. Mi faceva girare dalla schiena: non so se hai visto il retro della copertina, ma ci sono io di schiena perché lui ha voluto rappresentare la Morsa in questo senso. Ha ripreso proprio il movimento di rotazione, quindi forse ha capito che non potevo stare ferma e ha saputo cosa fare. Un grande flash e via.
E’ stata un’esperienza forte, intima.

Non l’ho mai conosciuto di persona, ma tutte le persone con cui ho parlato e sono state fotografate da lui hanno detto che è come se ti fotografasse oltre la faccia. L’anima, in un certo senso. Non so se ne abbiamo una, in generale, ma è quello.
Si, quel qualcosa. Va oltre, va a cercare. Ti cerca e ti trova.

A proposito di Morsa: quando ho letto il titolo ho pensato “ma morsa con i denti o morsa nel senso di qualcosa che ti schiaccia”?
Prima di tutto già il fatto che te lo chiedi è ganzo, perché vuol dire che qualcosa stuzzica. E’ una parola che stuzzica, che scatizza. Probabilmente la primissima idea è partita da una sensazione di stretta: è buffo perché prima di registrare il disco ero molto isolata, un lockdown prima del lockdown. E’ partita da una sensazione, poi ha iniziato a girarmi in testa questa parola, a farmi domande, e ho pensato a tutti i morsi che mi riguardavano. Mi sono chiesta perché io mordo, perché si morde, perché vengo morsa, come si cerca un antidoto al veleno. Il morso alla mela di Eva, che è diventato uno stigma, un senso di colpa: se sei donna ci nasci, un pacchetto completo. Un morso che pone domande, da rivoltare, nel senso anche di rivolta. Poi c’è il morso della taranta che mi affascina un sacco: mio babbo è pugliese e con la Puglia ho un rapporto speciale. Mi sono informata, ho chiesto, ho conosciuto amiche musiciste, tamburelliste, cantanti che mi hanno raccontato di più su questi canti liberatori e sul tarantismo. E tutti si collegava con un filo apparentemente incoerente che per me ha un grande senso sparso che mi ha aiutato a abbracciare un po’ di crisi, di spacchi.

Ora ti chiedo una cosa che non c’entra niente, ma mi sono fatta un film.
Vai.

Secondo te Biancaneve e Eva sono parenti?
Ho bisogno di tempo per riflettere, ma il seme è entrato. E ora ci devo riflettere! Li però è l’invidia, è un’altra donna che avvelena Biancaneve in preda a un delirio d’invidia. Comunque anche li il morso l’ha condannata, lei ha morso perché si è fidata.

Poi c’è Steve Jobs con la mela già morsa, la mela di Alan Turing che si è avvelenato da solo proprio con la mela.
Vedi che basta poco! Le parole sono una figata!

Non so se ti ricordi l’intervista con i Solki: il giochino che ti dicevo il titolo della canzone e tu mi dicevi la prima parola che mi veniva in mente.
Vai, ci sto.

Ok: Nenia
Luna
Distrarsi
Arancione
Rasente
Una lametta
Epidermide
Montagna
Un bacio sotto il ginocchio
Astronave
Tentativo per l’anima
Eros
Sotto le ossa
Oblio
Forca
Scivolo
La trascrizione dei sogni
Ferro
Quaggiù
Nebbia
Non saprete mai perché è nemmeno io.

Visto che parliamo di canzoni: Epidermide ha un video e per la prima volta sei da sola e senza la band, con tutti gli occhi e i fari puntati su di te.
E’ bellissimo mettersi al servizio, in quel senso l’esibizionismo dell’esibizione è liberatorio. Io e Patrizio abbiamo scritto insieme i testi del disco, quindi quando ha proposto l’idea del video ci siamo trovati, abbiamo parlato tanto di queste canzoni. Eravamo tutti e due molto emozionati, io non ci potevo credere. Poi c’era Duccio Burberi, che è stato anche il bassista dei Baby Blue, a fare le riprese.

Fra l’altro proprio il cd di per sé sembra un vinile.
Bellino vero? La grafica l’ha fatta Legno, Jacopo Lietti, che fra l’altro fa dei cori su Forca che sono micidiali. Sono stati incontri casuali, un percorso molto bello. La grafica è sua e non poteva fare di meglio, secondo me.

Anche perché sia il booklet che la copertina, il disco, ricordano molto i cataloghi dei musei e dell’arte moderna.
Bello! Io ho pensato anche a un libretto di un’opera! Un bignami, una piccola guida all’ascolto.

Non è banale, per niente. E poi c’è l’adesivo, che mi ha riportata ai Guns n’roses con gli adesivi del Parental Advisory. E non è banale perché se tiri fuori il booklet vedi la foto di Benassi in tutta la sua gloria.
E’ stato proprio Jacopo Lietti a proporlo, e io che gli dovevo rispondere? Mi sembra stupendo.

Che progetti hai d’ora in poi?
Innanzitutto vorrei portare in giro questo disco: le condizioni richiederanno delle restrizioni, ma va bene. Non credo che riuscirò a portarlo per come è stato composto ma la cosa mi stuzzica: è bello partire da un disco e cambiare forma. Lo porterò in giro con Matteo Lenzi, il percussionista del disco, con cui affronterò il live.

Sai già delle date?
Ancora non so niente, e sono fortunata perché ho un booking che si chiama Kashmir e stanno lavorando. Le cose si stanno smuovendo, quindi a breve saprò dire di più. Poi ben vengano collaborazioni, qualunque cosa. Ora voglio proprio fare quello che mi pare, quando mi pare (ride). Una mentalità da zona gialla.

Ultima domanda: fai finta che la pandemia sia finita e ti dicono che puoi suonare dove ti pare, con chi ti pare, davanti a tutta la gente che ti pare.
Vado a fare Morsa con un ensemble di dieci musicisti…sette vai. No, dieci. Voglio andare al sud, voglio andare sul mare. Voglio suonare sul mare.