Venerdì pomeriggio. Ho deciso di andare all’uscita della scuola elementare del Soccorso. Forse per vedere i corpi di mamme, babbi, nonni, nipoti muoversi in questa nuova normalità, forse a volerne cogliere la fragilità e con essa quella di tutti noi. Quanto ancora resterà aperta questa scuola, in che forme, quanto ancora noi e i nostri figli dovremmo convivere con l’incertezza di non sapere fino alla mattina se quel giorno entreranno in classe o se la loro sezione è stata appena messa in quarantena perché un loro compagno o maestro è risultato positivo.
Parcheggio in via Alessandra di fronte ad un negozio cinese; al di là della strada, dove meditavo con gu mi qualche giorno fa, adesso è spuntata una bellissima serie di poster in bianco a nero. Scoprirò essere opera dello street artist Giuseppe Di Carlo in arte “Mr. G,” un murales temporaneo a celebrare la libertà di professione religiosa sancita dall’articolo 8 della Costituzione, posto a poche decine di metri dalla Chiesa evangelica cinese di via Verona e da quella cattolica del Soccorso.
Arrivo dunque alle elementari Carlo Collodi: un grande edificio rugginoso con dei bizzarri pannelli gialli. Si avvicinano alla scuola donne col velo, paltò colorati, treccine, uomini col turbante, sorelle, fratelli, nonni una varietà di colori della pelle e di vestiti, accomunati dai gadget dell’anno 2020: mascherine e telefono. A scaglioni, escono le classi e insegnanti e alunni vanno a sistemarsi nell’area adibita: 1C, 2A; 1D 2B; e così via. Il caos organizzato dell’uscita di una scuola come tante. Un maestro chiama i nomi degli alunni e solo ‘Matteo’ non rimanda a luoghi lontani. Parlo con Cinzia Giunti, originaria del Soccorso, insegnante qui alle Collodi dal 2009. “Ho visto cambiare il quartiere”, mi dice. Nella sua seconda, sono solo quattro i bambini italiani. Gli altri sono di origine straniera. Ma alla maestra non piace la parola “stranieri”, molti dei suoi allievi sono nati qui e parlano italiano benissimo. Soprattutto, dice, “sono tutti bambini”. Una bella sfida per lei ed una grande occasione per imparare. “I miei alunni si trovano bene alle medie, il che significa che li prepariamo per il ciclo successivo. Nonostante le difficoltà, questi bambini sono esposti a tante esperienze che li arricchiscono e creano conoscenza”.
La coesistenza nel quartiere non è semplice. Ci ha riflettuto anche l’artista cinese Qiu Yi. La sua installazione, una sorta di cabina telefonica di plexiglass chiamata “Muro di vetro,” ha l’obiettivo di rendere evidente proprio la “difficoltà di abbattere i nostri muri di pregiudizio verso il prossimo [e] viene rappresentata da questa azione che tenta di renderli fisicamente visibili grazie all’utilizzo della scrittura, con l’utopico obiettivo di abbatterli.” Yi invita a scrivere sul muro attraverso l’utilizzo dell’inchiostro di china e dei pennelli, strumenti consoni alla scrittura degli ideogrammi, un’arte di per sé oltre che una lingua. Presidente dell’Associazione di Arte e Cultura Contemporanea Cine a e Italia, Qiu Yi, artista cinese residente a Firenze dal 2011, è riconosciuto a livello internazionale per il suo lavoro che spazia dalla scultura alle performance alle installazioni.
‘Siamo tutti fratelli,’ ‘peace,’ ‘solidarietà’ e frasi in urdu (“Pakistan love Italy”), mandarino e albanese. Il muro si è riempito ed è diventato quasi impossibile leggere le parole scritte dai partecipanti. Manifestazione di una cacofonia che ci impedisce di capire, per come la intende l’artista.
Qiu Yi j ha portato il suo Muro di Vetro ai giardini di via Carlo Marx e poi in piazza delle Carceri, davanti al maestoso Castello dell’Imperatore nel centro storico della città. L’artista ha infine ricondotto il suo muro proprio in piazza Don Danilo Aiazzi, davanti alla Chiesa del Soccorso, proprio da dove eravamo partiti per questo viaggio nel quartiere.
L’arrivo dell’opera di Qiu Yi chiude di fatto l’intensa tre giorni di Laboratorio Soccorso, un progetto di Giacomo Zaganelli curato da Stefania Rinaldi e organizzato da CUT-Circuito Urbano Temporaneo (23-25 ottobre). Per esplorare il quartiere, Zaganelli ha creato un evento diffuso: 12 contributi ospitati in altrettanti spazi (pubblici e privati), ciascuno riferito ai 12 Principi Fondamentali della Costituzione Italiana. Nella lettera aperta ai cittadini di Prato affissa nello spazio di via Milano, Zaganelli, attivatore e curatore di progetti rivolti alla collettività, ricorda che la sovranità appartiene al popolo e “non il contrario,” come ribadisce la scritta luminosa posta nel cortile interno (per ora inutilizzato) sul retro della sede dei Si Cobas. Per cambiare lo stato delle cose, l’artista offre il proprio impegno “a studiare una potenziale strategia sostenibile per l’individuazione e la creazione di una spazio comunitario presso il quartiere Soccorso di Prato”.
Cinque aree verdi, settantaquattro fondi, quattro autofficine, due banche, un cinema, un campo da calcio— sono tutti spazi “in attesa” del Soccorso (o di soccorso, verrebbe da dire) individuati da Zaganelli nella mappatura del quartiere, appendice del progetto portato avanti dall’artista fiorentino su scala regionale con La Mappa dell’Abbandono.
La mostra itinerante si inaugura con un piano sequenza fruibile presso lo spazio di via Milano in cui un gruppo di cittadini recita l’articolo 3 della Costituzione: quella rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale per consentire il pieno sviluppo della persona umana messa a dura prova dall’emergenza del coronavirus, visto che l’appartenere ad una minoranza ha in genere limitato “la libertà e l’uguaglianza dei cittadini” piuttosto che promuoverla—si veda il dilagante ricorso alla didattica a distanza nelle scuole o la sistemica mancanza di protezioni e tutele per i lavoratori, tra cui molti stranieri, dell’agricoltura, delle industrie e della logistica.
Partecipo alla visita guidata del Laboratorio Soccorso, una bella occasione per sfogare questo mio dannato bisogno di stare con gli altri, di incontrare persone, questo inderogabile bisogno di socialità. Torno allora volentieri al pallaio. Corpi prestati al progetto, i signori della bocciofila indossano magliette proprio con l’articolo 2, che prevede come diritto inviolabile quello della espressione anche sociale della persona umana. Un’ultima manifestazione di resistenza contro questo dannato virus alla vigilia della nuova chiusura di associazioni, teatri, cinema, palestre e piscine con il dpcm del 26 Ottobre.
Arriviamo al piccolo spazio allestito in via della Romita da MASC (Magazzino Arte Sociale Contemporanea), collettivo di under 22 nato proprio durante il lockdown a Prato. In loop, le risposte di bambini e ragazzi del quartiere alla domanda, “che valore ha la pace da chi non ha vissuto mai la guerra?” Il modo di MASC—Matilde Toni, Simone Cariota, Sofia Baldini, Lavinia Nuti, Viola Pierozzi, Alice Risaliti—di rendere vivo l’articolo 11 al Soccorso. Un bambino di origini rumene si inventa un conflitto permanente tra Germania e il paese dei genitori, un ragazzino di origine senegalese denuncia la violenza del razzismo, la guerra dice un altro significa “sangue.” Nella stanza, un muro viene riempito di scritte e disegni sul tema. Tra tutte, spicca il barcone coi naufraghi e le parole, “la povertà è guerra… e il mare dovrebbe tornare ad essere bellissimo…”
“…Chi resta qui spera l’impossibile!” recita la scritta su un muro di via Torino. E qui è il Soccorso ma è anche l’Italia per Silvia Piantini, da 10 anni a Berlino. Prima di decidere quale sarebbe stato il proprio contributo al progetto di Zaganelli, la designer sapeva che questo ne sarebbe stato il titolo. Le era bastata una passeggiata nel quartiere per scegliere quella scritta all’imboccatura di un garage, monito nella discesa nelle viscere del Soccorso. Piantini, designer freelance, proveniente da una famiglia di tessitori di Montale, ha incentrato il suo contributo sull’articolo 12, quello dedicato al tricolore. Quella nostra bandiera che ha fatto di nuovo la sua apparizione sui balconi di tutta Italia durante il lockdown: un muto e semovente simbolo di resistenza. Ma anche un appello all’unità. E infatti nella perfomance ideata da Piantini marciano per le strade del quartiere tre attori, in silenzio, ciascuno che indossa una tuta sul modello Thayaht: in rosso un ragazzo rumeno, in bianco una donna italiana, in verde un giovane uomo gambiano. Ma attenzione: solo dall’unione dei tre corpi nasce il tricolore.
Domenica mattina si torna davanti alla scuola. È questo il luogo scelto da Martina “Tina” Grifoni, artista visiva, per appendere la bandiera del Soccorso, un’azione collettiva lunga tre settimane realizzata con la collaborazione dell’associazione Riciclidea e degli abitanti del quartiere. A loro ha chiesto un pezzo di stoffa: un oggetto importante in ogni cultura e facile da portare dietro, simbolo imprescindibile nel territorio pratese. Ai giardini di via Carlo Marx, Tina Grifoni ha voluto che i partecipanti raccontassero la storia dietro ad ogni pezza per poi scrivere una parola che fosse per loro un desiderio per il quartiere.
All’inizio, l’opera collettiva era stata avviata nelle vicinanze delle Collodi, poi interrotta dalla polizia “perché credeva che vendessimo sciarpe,” come riportato dalla curatrice del progetto Stefania Rinaldi. Le parole emerse sono ‘ascolto,’ ‘love,’ ‘abbondanza,’ ‘prossimità,’ ‘felicità,’ ‘dreams,’ ma anche nomi, ‘Afzaal’ e ‘Abdulla,’ perché talvolta “non avevano capito la mia richiesta.”
Qui come altrove, manca vera integrazione, nonostante gli sforzi di associazioni quali Cieli Aperti e iniziative culturali come quelle di CUT. Il Soccorso è talvolta solo una straordinaria babele di lingue. Per questo, il sound artist Alessio Dufur ha declinato in chiave contemporanea le intenzioni dei Costituenti (art. 6) nella sua ipnotica installazione sonora, da fruire sotto il pergolato del cortile di via Roma 133, sede della Pro Verbo e di TV Prato. Se la legge 482/99 estendeva tardivamente la tutela delle minoranze linguistiche (storiche) alla “lingua e alla cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il francoprovenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo,” l’artista ha cucito insieme voci del quartiere di oggi—bimbi che intonano una poesia in urdu con la maestra, uno studente che recita una poesia in rumeno e una ragazza una filastrocca in cantonese assieme a materiali originali (un contadino che pratica l’arte della polifonia albanese) e altri di repertorio—voci in mandarino e arabo registrate con microfoni binaurali. L’installazione di Dufur è immaginata come “un unico flusso sonoro dall’incedere solenne e malinconico dal quale affiorano in superficie relitti di voci e sfumature timbriche come naufraghi alla deriva.” Un’esperienza di quiete a pochi metri dalla trafficata via Roma.
Non è casuale il luogo scelto da Tina Grifoni per issare la bandiera del Soccorso. Siamo, dicevo, davanti alla scuola. Sui tubi innocenti che vanno a formare un rettangolo che incorniciava solo un pezzo di cielo, c’è adesso la bandiera, il cui svolazzamento rappresenta proprio il transito delle persone nel quartiere. Dona vita e movimento al fermo e decadente muro di sotto, e si apre sul campo retrostante dell’Ambrosiana, da oltre quindici anni abbandonato a sé stesso—dicono a breve vedrà sorgere finalmente una comunità residenziale oltre ad uno spazio verde.
“La bandiera non è finita,” dichiara Grifoni. “Altre stoffe possono essere aggiunte…” Un vero e proprio “sfrangiamento” dunque, simbolo di un quartiere in divenire.
Cammino oltre, fino ai Giardini di Prossimità, situati giusto dietro alle scuole Collodi eppure dalle stesse ancora non fruibili. È un trionfo di gialli e marroni e un tappeto di foglie copre questo spazio di natura ancora troppo nascosto alla collettività. “Il giardino evolutivo” ideato da Luigi Coppola (realizzato assieme alll’Istituto Agrario Datini e alla cooperativa New Naif) resta a testimoniare l’importanza del patrimonio paesaggistico e storico sancito dall’articolo 9. Respiro la temporanea quiete, i rumori dei veicoli provenienti dallo stradone paiono davvero remoti. Non c’è luogo che rappresenti meglio di questo il potenziale ancora inespresso del quartiere. Ripenso a quel tipo del palazzo qui davanti che nel 1984 sparò a tutti i lampioni del giardino condannandolo all’oscurità per anni. Mi chiedo con chi ce l’avesse. Dove sia ora.
Chi resta qui spera l’impossibile. Soccorso, una storia ancora tutta da scrivere.