mauro ermanno giovanardi

Mauro Ermanno Giovanardi è un ragazzo di quasi sessant’anni, ma rimane un ragazzo, nell’aspetto e nell’entusiasmo. E nell’approccio con la musica, sempre curioso, ricercante, annusante, mai seduto.

Nel suo repertorio mescola da sempre le sue canzoni con quelle di altri, tanto è l’amore che prova per la canzone italiana e per la parola cantata. Non si dica che fa delle cover: le sue non sono cover, sono veri e propri atti d’amore. Fin da quando con i La Crus faceva propri Tenco, Ciampi e i Detonazione: l’atteggiamento rimane lo stesso – con un bel po’ di mestiere in più.

Il concerto che Mauro Ermanno Giovanardi – accompagnato da Marco Cosma Vignera Carusino alla chitarra e Jessica Testa al violino – ha fatto nel Chiostro di San Domenico a Prato per l’edizione 2020 di Settembre-Prato è spettacolo si chiama “Ho visto Faber volare”, ma l’omaggio a De André copre solo la prima delle tre parti dello spettacolo.

Quello a cui abbiamo assistito è un concerto trino, con una suddivisione quasi geometrica, in parti uguali, della scaletta. La prima parte dedicata a De André, partendo didascalicamente da “Ho visto Nina volare” per poi toccare pezzi famosi come “Canzone dell’amore perduto” e “Amore che vieni amore che vai” e autentiche chicche come “Inverno” o “Una storia sbagliata”, il pezzo sulla morte di Pasolini che Faber non incluse mai in nessun album. Quando canta de André, Giovanardi lo reinterpreta, soppesa ogni singola parola, ogni singolo respiro. Un grande lavoro d’interpretazione, che in una serata come questa arriva ed emoziona il pubblico seduto e distanziato. 

A questo fa seguito una seconda parte, in cui riprende un po’ di pezzi propri, dai La Crus di “Come ogni volta” e “Nera signora” al tradimento di “Io confesso”, probabilmente il suo pezzo più famoso da solista, complice un Festival di Sanremo. Le versioni sono ovviamente più scarne ma non meno coinvolgenti, specie quando arriva l’armonica, che in pezzi come quelli fa tanto David Lynch. 

E poi, per concludere, la terza parte, la più emozionante per chi scrive: quella de “La mia generazione”, quella in cui ripropone i pezzi degli anni 90, pezzi che Giovanardi dimostra essere già dei classici, senza retorica. I pezzi di quel decennio in cui si affermava il “Nuovo? Rock?! Italiano!” per citare un libro di Alberto Campo, e che lo videro tra i protagonisti. E allora arrivano Lieve dei Marlene Kuntz, Eppur non basta di Marco Parente, Cieli neri dei Bluvertigo, Stelle buone di Cristina Donà, Rosemary Plexiglas degli Scisma e anche quella Dentro me dei Detonazione che dava il titolo al secondo album dei La Crus.

E a chi quegli anni li ha vissuti, scappa anche la lacrimuccia.