Il progetto Sincronie, giunto quest’anno alla quarta edizione, è rivolto ai ragazzi del triennio delle scuole medie superiori e dell’università, è un’esperienza di vita comune e collaborazione per riflettere, insieme ad esperti, sui grandi temi della contemporaneità.
Questo è uno dei contributi prodotti dagli studenti del Copernico presenti a Sincronie, di cui Pratosfera è media partner.
“Un tizzone scampato ad un incendio” con queste parole Erri De Luca ha descritto Davide Cerullo. A soli 10 anni era già ricercato dalla polizia, a 14 anni gestiva una piazza di spaccio a Scampia, a 16 anni viene arrestato per droga, a 17 anni viene “gambizzato” da killer di clan rivali, a 18 anni viene arrestato e mandato a Poggioreale, dove attraverso la lettura della Bibbia apprende un messaggio di liberazione universale: dopo molti anni, decide di tornare a vivere nel suo quartiere, Scampia, insieme alla moglie e ai suoi due figli e fondare “L’albero delle storie”, un’associazione di promozione sociale che opera attraverso una ludoteca, uno spazio dedicato agli adulti e la riqualificazione di spazi pubblici.
Cerullo ha anche scritto vari libri legati alla sua esperienza personale all’interno del contesto dove ha vissuto e oggi lavora. E’ stato ospite del convegno Sincronie 4 organizzato dai ragazzi delle scuole superiori di Prato per parlare di periferie. Insieme a lui anche due ragazzi del suo quartiere: Gaetano, detto Nino, 18 anni, studia all’istituto tecnico industriale e pratica boxe, con il sogno di rendere questa sua passione il suo lavoro, ed Emanuele, 15 anni, cresciuto a Melito in una famiglia originaria del rione Sanità. La sua speranza è quella di far vivere una vita normale a sua madre e spera di riuscirlo realizzandosi aiutando gli altri. Insieme a Davide hanno fondato la Biblioteca Popolare di Scampia.
Com’è stato uscire dalla camorra?
Davide: Diciamo che non è stato facile, non perché io avessi problemi ad uscire dal sistema, sopratutto perché non ho mai ucciso nessuno, anche se ci sono andato vicino. La grande fatica è stata uscire da quel me stesso sbagliato. C’è stata tutta una serie di imprese da affrontare per poterne venire fuori; per esempio disabituarmi al guadagno facile ed abituarmi a lavorare e a fare sacrifici. Questo è stato l’impegno più grande: per farlo ho dovuto anche decidere di lasciare il mio quartiere, per cambiare aria.
Qual è il più grande rimpianto e la cosa di cui vi pentite?
Davide: Se potessi tornare indietro, sicuramente non rifarei ciò che ho fatto, ma sono sicuro che vorrei vivere quella infanzia che mi è stata tolta. La prima cosa che farei è sicuramente andare a scuola. Non ho niente di cui pentirmi, non mi piace piangermi addosso, ma siccome il tempo è l’unica cosa che non si può riciclare, cerco in ogni modo di fare qualcosa di buono man mano che il tempo va avanti.
Nino: Rimpiango di non aver parlato con chi di dovere per cose strane che ho visto. Sicuramente oggi parlerei. Non ho nessun rimorso poiché sono riuscito a rimanere fuori dal giro e non commettere niente di grave.
Emanuele: I miei rimpianti sono causati da azioni non compiute, per tempo non trascorso con persone che ora di tempo non ne hanno più. Questo, quando non hai niente da fare, ti torna in mente, e ti perseguita. Secondo me, avere rimpianti significa avere fatto molte cose ed avere molta esperienza di vita.
Cosa hai pensato di quando ti hanno sparato?
Davide: Il momento è stato tragico. Quando questi due individui si sono avvicinati in sella ad una Vespa io ero con un amico. Uno ha sparato al ragazzo che era con me e l’altro mi ha puntato l’arma alla pancia, ma si è inceppata. Dietro di me avevo un circolo ricreativo e sono entrato li dentro chiudendo la porta, mettendomi così in trappola da solo. Avevo molta paura: quel terrore che ti blocca e non ti fa pensare a niente se non a cercare di scappare. Mi hanno sparato 32 colpi di pistola, hanno spaccato tutto e mi hanno lasciato li ferito. Io ho comprato delle armi e una moto per vendicarmi e tutti i giorni pensavo di sparargli e di ucciderli, ma purtroppo sono morti e per fortuna non li ho uccisi io.
Cosa vuol dire per voi essere felici?
Davide: Io ho dei brevi momenti di felicità, per me la felicità appartiene a degli attimi della vita o delle persone e passa per esempio attraverso una telefonata, una camminata in un posto che ti piace. Io sono rimasto estasiato quando sono andato a Parigi a presentare un mio libro e mi hanno portato a visitare un giardino enorme e bellissimo; io li mi sono seduto e ne sono stato pieno, sono stato abitato dalla meraviglia. La felicità sta nel rinnovare il vecchio. La felicità ti rende libero, e la libertà ti rende felice.
Nino: Per me la felicità è un po’ tutto, qualsiasi cosa che sia normale.
Emanuele: Secondo me la felicità non si compra, non si trova e non si conquista. È una cosa involontaria e che arriva a sorpresa. È provocata da azioni altrui e pensieri che si evolvono nel tempo. Si può trovare da ragazzi come noi, ad un’età più avanzata come quella di Davide, ma anche nell’ultima parte della nostra vita. Per questo motivo bisogna essere sempre aperti alla felicità.
Articolo e intervista a cura di E. Borselli, A. Nuzzo, E.Baldi, M.Brugno