Discoteche, architettura e design. La storia del “clubbing”, delle discoteche e della disco music è punteggiata di collaborazioni con artisti e architetti.
“Night Fever – Design Club Culture 1960 – today” la racconta mettendo insieme una serie opere d’arte, installazioni, fotografie, film e abiti: dai “locali notturni italiani degli anni Sessanta creati dai membri del gruppo dei Radicali al leggendario Studio 54 di Ian Schrager a New York (1977-80); da Les Bains Douches di Philippe Starck a Parigi (1978) al più recente Double Club di Londra, ideato dall’artista tedesco Carsten Höller per la Fondazione Prada.
La mostra
Si comincia con le discoteche degli anni Sessanta, quelle, si legge nella nota, “che per la prima volta trasformano il ballo in un rito collettivo da officiare in un mondo fantastico fatto di luci, suoni e colori in cui immergersi”. A l’Electric Circus (1967) di New York, progettato da Charles Forberg e dallo studio Chermayeff & Geismar, influenzò anche i club europei come lo Space Electronic di Firenze (1969 – Gruppo 9999), il Piper (1966) di Torino concepito da Giorgio Ceretti, Pietro Derossi e Riccardo Rosso e anche il Bamba Issa (1969), discoteca sulla spiaggia di Forte dei Marmi ideata dal Gruppo UFO.
Negli anni Settanta la disco music diventa
Negli anni Settanta, l’ascesa della disco music ma soprattutto “Saturday Night Fever” e lo Studio 54 di New York trasformano la disco music in un fenomeno di massa. Ma “È bene ricordare – si legge nella presentazione – che l’anima della disco music non è mainstream: nata in club e bar frequentati dalla comunità LGBTQ+ e nera ma anche latinoamericana, marginalizzate dalla maggioranza bianca e eterosessuale, si sviluppò in modo assolutamente politicizzato e con una forte connotazione sociale come un fenomeno underground, poi traghettato attraverso locali come il Paradise Garage – gay club che per primo rompe le regole della discriminazione razziale − verso la cultura di massa. Non a caso, i contro-movimenti come il Disco Demolition Night di Chicago (1979) diedero voce a tendenze reazionarie, in parte caratterizzate da omofobia e razzismo”.
“Night Fever” ripercorre gli anni Settanta passando dal Mudd Club (1978) o l’Area (1978) di New York, locali dove la vita notturna e l’arte si fondevano dando opportunità a giovani artisti emergenti come Keith Haring e Jean-Michel Basquiat. In Inghilterra, in quegli anni, club londinesi come il Blitz o il Taboo diedero vita allo stile “New Romantic”. A Manchester, nel 1982, nacque poi l'”Hacienda” del designer Ben Kelly, “una cattedrale del rave postindustriale”, spiega la presentazione, dalla quale l’acid house partì alla conquista del Paese.
“House e techno, nate nei club di Chicago e Detroit – spiega la nota – possono essere indicati come gli ultimi due grandi movimenti della dance music, che hanno caratterizzato un’intera generazione di club e raver. Lo stesso vale anche per la scena berlinese dei primi anni Novanta, dove discoteche come Tresor (1991) diedero nuova vita a spazi abbandonati e deteriorati, scoperti dopo la caduta del muro. Anche il Berghain, aperto nel 2004 in una vecchia centrale termoelettrica, dimostra che una scena disco vivace si sviluppa soprattutto dove ci sono gli spazi urbani necessari”.
Dagli anni 2000, lo sviluppo della club culture si è fatto più complesso: da un lato è in forte ripresa e in continua espansione, appropriata da marchi e festival di musica globali, dall’altro, molti club sono spinti fuori dai contesti urbani o sopravvivono come tristi monumenti di un passato edonistico. Nel frattempo è cresciuta una nuova generazione di architetti che si confronta nuovamente con la tipologia del locale notturno: tra questi vi è lo studio olandese OMA, sotto l’egida di Rem Koolhaas, che ha proposto un nuovo concept per una delle discoteche più famose del mondo, il Ministry of Sound II di Londra, quintessenza del club del Ventunesimo secolo. Un altro esempio è lo studio di architettura e design Akoaki, che con il suo Mothership, una consolle da DJ mobile, concentra l’attenzione sulla ricca storia del clubbing della sua Detroit.
“A completare la struttura cronologica della mostra, Konstantin Grcic, che ha curato l’exhibition design, e Matthias Singer, che si è occupato del lighting, hanno elaborato un’installazione musicale e luminosa, una silent disco che catapulta i visitatori nella movimentata storia della club culture. Una raccolta selezionata di copertine di dischi, tra cui i disegni di Peter Saville per Factory Records o la copertina programmatica dell’album Nightclubbing di Grace Jones, sottolinea infine le importanti relazioni tra musica e grafica nella storia delle discoteche dal 1960 a oggi.
Artisti, designer e architetti rappresentati (selezione): François Dallegret, Gruppo 9999, Halston, Keith Haring, Arata Isozaki, Grace Jones, Ben Kelly, Bernard Khoury, Mark Leckey, Miu Miu, OMA (Office for Metropolitan Architecture), Peter Saville, Studio65, Roger Tallon, Andy Warhol.