Da martedì 20 a venerdì 23 novembre alle ore 20.45 al Teatro Fabbricone, l’acclamata regista britannica Katie Mitchell, tra le più innovative e trasgressive della scena europea, presenta La Maladie de la mort, una rilettura in chiave cinematografica dell’opera omonima di Marguerite Duras, provocatoria e perturbante, portata sulla scena da Laetitia Dosch e Nick Fletcher, con la voce narrante di Jasmine Trinca, in una grande coproduzione internazionale cui partecipa anche il Teatro Metastasio di Prato. Lo spettacolo, in lingua francese e italiana sovratitolato in italiano, è consigliato ai maggiori di 18 anni.
Profonda esplorazione dell’intimità, del genere, della pornografia e del sesso, la pièce racconta l’impossibilità d’amare insinuandosi nel legame inquieto di un uomo e una donna che, in una stanza d’hotel, stabiliscono una relazione sessuale perversa basata sulla dominazione maschile senza riuscire a entrare in autentica intimità, emotiva e carnale. Lui vorrebbe imparare a amare, a conoscere un corpo femminile, e paga lei per soddisfare tutti i suoi desideri. Notte dopo notte la osserva, indagandola, cercando il suo segreto, annaspando nella violenza di un’intimità negata. Ma nulla può unire il divario che separa l’uomo e la donna, sono inconciliabili, è questa la “malattia della morte” di cui parla la Duras.
Mantenendo la dimensione misteriosa da thriller psicologico in cui già la Duras aveva inserito il confronto uomo-donna, nella riscrittura di Alice Birch, Katie Mitchell restituisce la profondità del divario tra maschile e femminile imprimendo alla scena una lettura “cinematografica”. Sul palco è di fatto allestito un vero e proprio set, con tre macchine da presa che seguono morbosamente, in presa diretta, la dinamica tra i due protagonisti mostrandola al pubblico filtrata attraverso gli occhi di lui, in un gioco di rimandi e visioni con regole voyeristiche.
«La storia è stata scritta nel 1982 da Marguerite Duras. La giovane drammaturga Alice Birch ne ha data una nuova interpretazione – dichiara Katie Mitchell – Nel testo originale si tratta prevalentemente del punto di vista dell’uomo, invece qui si tratta soprattutto del punto di vista della donna: com’è essere la vittima di quel tipo di uomo? Volevamo usare le telecamere nello spettacolo per capire come l’uomo scruta il corpo della donna, interrogarci su come il suo corpo appare all’uomo, bilanciare il punto di vista maschile con il punto di vista femminile. Nelle prove abbiamo lavorato, ripresa dopo ripresa, su ogni singolo passo del testo. È stato un processo molto lento. Volevo offrire qualcosa che sapevo essere al di fuori di uno spettacolo teatrale “normale”. Così, quando lo guardi, in basso vedi “il teatro”, e in alto vedi sugli schermi le riprese che mostrano come quell’uomo che stai guardando sta scrutando il corpo della donna proprio in quel momento».
Intorno allo spettacolo, sabato 24 novembre alle ore 16 nella saletta conferenze del Met, il critico Marco Menini contestualizza il lavoro dell’artista e approfondisce i temi dello spettacolo in un incontro di ‘riflessioni’ del ciclo Lo spettatore attento (su prenotazione a [email protected] o0574/27683, dal lunedì al venerdì in orario 9.30/13.00).