Quello che succede il primo di settembre in Piazza del Duomo a Prato, a partire dalle 19,30 circa e per cinque ore consecutive, è una cosa degna dei migliori festival europei.
Tre gruppi con una grande storia, tre headliner che suoneranno, sullo stesso palco, nella stessa sera. Sto parlando degli italonippocanadesi Blonde Redhead, dei belgi dEUS e dei tedeschi (apolidi) Einstürzende Neubauten. Anche troppo, per un palco solo. Tre protagonisti assoluti di un rock distante dal roll e dalle masse, tre gruppi le cui storie personali, complesse, hanno tracciato e segnato la Storia del rock, se non altro quella dagli anni 90 in poi. Un evento che non ha eguali, in questo momento, e che colloca il Settembre Pratese alla stregua di altre e generalmente più blasonate rassegne.
Insieme, non è mai successo. E qui sta l’evento. Ma andando a ravanare nella memoria, non è la prima volta che i gruppi suonano a Prato. Per i dEUS sì, è la prima volta (anche se hanno suonato a Firenze non più di una decina di anni fa, al Viper Club. Ricordo il concerto equamente suddiviso tra pezzi storici e l’allora nuovo album, che ne segnava il ritorno dopo un periodo di silenzio, con un certo gusto a far muovere il piedino, cosa a cui il gruppo non era stato mai troppo incline.
Tornando ancora più indietro nel tempo, da Prato gli altri due gruppi ci sono passati. Lo scenario è il medesimo per entrambi, l’Anfiteatro del Centro Pecci. Partiamo dai primi.
Settiamo l’orologio mentale indietro di 25 anni: era l’8 luglio del 1993, quando al Pecci passano i Sonic Youth. Quello che fa il gruppo di Lee Ranaldo e Thurston Moore sul palco pratese rispetta in pieno gli standard sonori e ideali del gruppo: nessuna concessione al disco allora in promozione (il per niente disprezzabile “Dirty”, che segnava l’allontanamento – temporaneo – del gruppo da certe sonorità noise e sperimentali e un avvicinamento alla struttura canzone post-Nirvana e a certi temi politici. Meno rumore, più grunge. E conteneva, per la prima volta, anche un paio di singoli, considerati un segno di decadimento per i fans duri e puri di allora…) ma una lunga improvvisazione che a volte sfociava in frammenti di brani da Sister o Daydream Nation, i loro dischi più ostici, nel totale sollucchero intellettuale dell’avventore medio.
Un grande concerto, tuttora ricordato 25 anni dopo come uno dei grandi eventi rock che hanno toccato la nostra città. In pochi però ricordano che, ad aprire il concerto c’era un giovane gruppo praticamente sconosciuto, che aveva destato l’attenzione di Steve Shelley (batterista dei Sonic Youth) e che stava collaborando con lui per l’uscita del primo album e che nel frattempo se li portava con sé in Europa per farli crescere e per far capire loro che fare dischi, suonare, andare in tour, non era uno scherzo. Quel primo disco sarebbe uscito due anni dopo. Questi erano due gemelli nati a Milano, cresciuti in Canada e trapiantati a New York e una ragazza giapponese. Una line-up a cui i Blonde Redhead sono ancora fedeli.
Di quel concerto del 1993 si ricorda un’inaudita potenza, culminata in una sorta di duello sonoro ed erotizzante tra le due chitarre di Kazu Makino e Amedeo Pace: un momento che i Blonde Redhead replicano tuttora, e spesso, dal vivo. Già da quella primissima (ed acerba, ma nemmeno troppo) apparizione si intuiva quale sarebbe stata la potenzialità del gruppo.
Rimettiamo l’orologio indietro di altri cinque anni. Al Centro Pecci appena aperto decidono di fare una rassegna di concerti di rock tra elettronica e rumore. Perfetto per un centro d’arte Contemporanea. Gruppi di pura sperimentazione, come gli Antigroup (nati dalle ceneri degli estremi Clock DVA), gli Young Gods o le italiane Officine Schwartz, che interpretavano pezzi popolari o canti della tradizione operaia con strumenti ricavati da scarti d’officina, appunto. Il concerto di apertura di questa rassegna tra rock ed espressione artistica fu affidato ai berlinesi Nuovi Edifici Che Crollano (il riferimento era chiaramente all’edilizia tedesca post-bellica), ovvero gli impronunciabili Einstürzende Neubauten che rivedremo tra qualche giorno in Piazza Duomo.
Già nel 1988 il gruppo di Blixa Bargeld era oggetto di un culto peculiare e assai diffuso tra le masse alternative. Il gruppo era al quarto disco, e nonostante certi fervori rumoristi e certe orgiastiche litanie iniziassero a lasciare il passo ad una forma canzone che si svilupperà negli anni a venire (il punto di svolta avverrà con “Tabula Rasa”, disco del 1990, a muro di Berlino già caduto), il concerto era ancora fluttuante tra teatro espressionista e avanguardia rock. Intendiamoci: per noi, gli Einstürzende Neubauten, erano quelli del martello pneumatico. Quelli della motosega. Leggenda voleva che utilizzassero tale strumento dal vivo frantumando i palchi di tutta Europa. Cemento e distruzione.
E il gremito Anfiteatro del Pecci quel 17 settembre del 1988 desiderava, bramava quello. Il martello pneumatico non ci fu, ma ci furono le lamiere percosse forsennatamente da barre di metallo. C’erano i bidoni, i fusti da olio per telai, non ricordo se pieni o meno. C’era un carrello da supermercato che viaggiava per il palco e al quale venivano attaccati degli elettrodi da batteria d’automobile.
E c’era lui, Blixa Bargeld, novello sciamano industriale, non ancora folgorato dall’incontro con Nick Cave, che recitava ed urlava esclusivamente in tedesco la sua poesia per un mondo ridotto in macerie, la Berlino degli ultimi anni del muro. L’uomo che confluirà nei Bad Seeds di Nick Cave con un ruolo di vero e proprio alter-ego del Re Inchiostro, e che abbandonerà la nave proprio quando il gioco si farà gigantesco. Meglio coltivare la propria anarchia, meglio riformare il gruppo degli esordi o realizzare quei due piccoli capolavori di pop assurdo che realizzerà col nostro Teho Teardo. Blixa è così, prendere o lasciare. Una garanzia, da quasi trent’anni.
Gli Einstürzende Neubauten che vedremo in Piazza Duomo il primo di settembre sono piuttosto distanti da quel terrorismo sonoro, pur non rinnegandolo. Al rumore, negli anni, si è aggiunto il silenzio, come ulteriore fonte di sperimentazione (Il disco “Silence is Sexy” del 2000 è l’emblema del nuovo suono dei nostri): la rarefazione come contraltare al furore. Gli estremi che si toccano. Il tour di questi anni si chiama, ironicamente, Greatest Hits Live. Come se si trattasse di un gruppo assolutamente mainstream. Quindi, immagino, attraverseranno tutte le fasi dell’anarchia sonora che li ha sempre contraddistinti. Ci sarà da divertirsi.
Gli Einstürzende Neubauten nel 2015.