Inaugurata nel nome e col clima di festa di quartiere, conclusa nel segno della polemica: il pomo della discordia è stato Rainer Ganahl e la sua performance “Please teach me chinese – Please teach me italian” che ha suscitato non poche critiche, alcune delle quali anche molto accese. Si trattava di un progetto specifico pensato per Prato promosso dal Comune e curato dal Centro Pecci, durante la giornata che ha dato il via ai festeggiamenti dei 30 anni del centro d’arte Contemporanea di Prato. Progetto che, un po’ a sorpresa, ha visto prendere le distanze in pubblico anche la stessa direttrice del Centro, Cristiana Perrella. Ma andiamo con ordine.
La presentazione della performance
“Artista eclettico e poliglotta, acclamato a livello mondiale, Ganahl proporrà la richiesta di apprendimento della lingua altrui come forma di avvicinamento e considerazione reciproca, per favorire la comprensione e la convivenza fra italiani e cinesi. Per Prato ha ideato una linea di tessuti (prodotti da Marini Industrie S.p.A.) con cui confezionare diversi abiti (a cura di Manifatture Digitali Cinema) e mettere in scena una performance pubblica, in cui lo scambio degli abiti da parte di un gruppo di attori di varie nazionalità diventa rappresentazione della fluidità dei ruoli sociali e delle contaminazioni culturali tipiche della città contemporanea”.
Come è andata
Ganahl è stato una settimana “in residenza” a Prato per mettere a punto la sua performance, assieme a un gruppo di sette performer italiani e di origine cinesi coordinati insieme a Kinkaleri. Il suo lavoro si sarebbe dovuto tenere a conclusione della giornata, alle ore 21,30: per una serie di problematiche è slittato di qualche tempo, facendo sì che si creasse un bel buco tra l’ultima iniziativa e la performance e che il tratto di via Pistoiese si svuotasse un po’.
Inizia la perfomance che – a detta dei presenti – riporta svariati riferimenti allo sfruttamento del lavoro cinese tra performer, cartelloni e proiezioni, legati spesso a grandi marchi internazionali della moda, come Gucci.
Verso la conclusione vengono presentati dall’artista una serie di nuovi video che riportano alcune scene di cronaca degli ultimi anni nella nostra zona: la grande manifestazione e protesta cinese a Campi Bisenzio, un’ispezione delle forze dell’ordine all’interno di laboratori cinesi.
Questo passaggio scatena grandi fischi e proteste da parte dei presenti e si interrompe la serata. Anche una delle performer di origini cinesi che aveva preso parte al lavoro di Ganahl prende il microfono e inizia a insultare l’artista: nessuno era stato messo a conoscenza – compresi gli organizzatori e i promotori – che sarebbero stati proiettati video del genere.
L’artista ammette di non aver avuto tempo di vedere il video, ma che quello che veniva mostrato “era realtà” e insiste nel ricercare tra il pubblico cinesi che vivono nelle fabbriche. La situazione si fa animata, tra insulti e fischi: a quel punto la direttrice del Pecci prende il microfono e critica molto duramente la performance dell’artista dicendo che “un artista non può dissociarsi da quello che mostra, ma deve elaborare dei concetti un po’ superiori a una semplice ricerca su Google. Questa sera siamo andati un po’ troppo oltre”. Conclusa la serata, alcuni dei presenti raccontano che la discussione si è animata molto, fino a sfociare in una mezza rissa sedata tra alcuni addetti ai lavori e l’artista.
Ecco un estratto della discussione
Cosa ci riportiamo a casa (chi c’era e chi non c’era)
Se porti un artista internazionale a lavorare a Prato – lo fai restare 7 giorni in città, pensando che magari arrivasse più preparato sull’argomento e creasse qualcosa di più “costruttivo” per l’ambito della manifestazione -, ci riempi le pagine dei giornali e gli chiedi di fare una lettura di uno degli aspetti più critici della città, non puoi pretendere che la sua visione e la sua provocazione rispecchi “lo storytelling” istituzionale – quella di enti culturali, Comune, Regione – per cui due culture convivono d’amore e d’accordo in un quartiere che sta sì portando avanti tanti progetti di cambiamento, ma che di strada da fare ne ha ancora un po’.
Il rapporto tra Prato e i cinesi agli occhi di Ganahl è ancora quello dello sfruttamento: giusto? sbagliato? poco preparato? Magari meno nomi internazionali e più realtà che lavorano in campo artistico in città avrebbe portato una visione più contemporanea della faccenda, creando un vero e proprio incontro tra culture.