Affrontare un concerto mainstream come quello di Fibra può richiedere una preparazione psicologica, ma decido di non farmela. Quindi niente spoiler sulla scaletta, niente riascolti (che pur sarebbero serviti), niente abbigliamento più o meno consono alla situazione. Del resto non ho capito ancora se questo ex giovane proveniente da Senigallia sia o meno un oggetto che goda dei miei apprezzamenti.
“Pronti, partenza, via”. Scooter parcheggiato al solito posto, per evitare folla e facilitare la dipartita. Folla che comunque, nonostante siano le 20,50, non trovo numerosa come mi aspettavo visto il soldout. “Per forza, son già tutti dentro”, mi spiega arrancando fra le birre e gli under 25 che non riescono a fare la coda il signore dei panini. Non fa in tempo a finire la frase che le urla da palazzetto di basket greco escono fuori dalla struttura ospitante il live. È presto e non capisco l’enfasi. Sarà solo una delle prime cose che non capirò.
Poca coda, deflusso normale, nessun biglietto disponibile manco dai bagarini con la faccia da bagarini. L’ingresso mi ricorda subito, per il numero delle forze dell’ordine schierate quasi in assetto antisommossa, un derby Roma-Lazio del 1992. Sono un vecchio e manco mi aprono la borsa, figuriamoci se mi sguinzagliano dietro i cani antidroga.
Dentro si respira enfasi, e la prima cosa che faccio è buttare l’occhio nella sala stracolma di persone della più disparata estrazione e soprattutto età. Si passa da alunni della scuola media con genitori vestiti per l’occasione come modelli della Diesel (i vestiti di quando avevano venti anni non buttati servono a qualcosa), forze dell’ordine di qualunque estrazione (ci mancavano i Mossos catalani, ma hanno da fare, così mi hanno detto), cinquantenni smarriti alla ricerca di un brivido di pseudo gioventù, masse della cosiddetta fascia di età 18-25. Il bar lavora molto, moltissimo, e a chiedere una birra sembro quasi astemio, visto che il regime del servito somiglia più a quello di un bar di Bassano del Grappa nei sabati sera. Il passaggio al bagno è obbligato, e stavolta, dopo le code femminili dei concerti indie, mi trovo davanti uno strano presidio della benemerita: l’appuntato mi spiega che non è in coda, e capisco l’andazzo.
Luci giù, illuminazione d’un tratto potente. Eccolo, FENOMENO. Un signore che si stenta ovviamente a riconoscere, visti gli smartphone in alto e visto l’abbigliamento “felpa-cappello-cappuccio su”. Ma è lui, il boato irrompe e parte il brano che dà il titolo al tour. Il palco in realtà non è un palco, visto che è vuoto o meglio pieno solo di Fibra. Alle spalle si erige in una consolle ad altezza pulpito DJ Double S nel ruolo di predicatore musicale. Fine. Solo visual, solo rime e solo basi.
“Come la porta in fondo Fibra? E con chi interagisce?”. Le risposte me le trovo in mano poco dopo, visto che l’animale Fibra si comporta con estrema naturalezza, tiene da solo uno spazio enorme aiutato dagli scambi di battute del fido dj. Non esiste la band, il feeling è solo e soltanto con il pubblico, a cui Fabrizio spiega, argomenta. A cui dedica e si arrabbia. Insomma, diciamo che questo signore sa il fatto suo.
L’entusiasmo iniziale viene stemperato non dal livello sonoro e di groove, sempre altissimo, ma dalle liriche. Perché ascoltare con un minimo di coinvolgimento i brani lascia dentro l’effetto che potrebbe essere proprio di un Kurt Cobain qualunque. La frase “Non vengo a darti stupidi consigli, vengo a distruggere i tuoi idoli”, facile ma palese contenuta nel pezzo “Cazzo vuoi da me?”, descrive la disillusione di un artista che conscio del proprio essere appunto fenomeno, soffre dei trascorsi della sua vita passata o presente (“Ogni giorno”) e l’ invidia per chi ha successo ma soffre il proprio (“Come Vasco”). Il materiale c’è, inutile negare che “Bugiardo” o “Vip in Trip” siano cosiddetti pezzoni. L’Obihall risponde perfettamente, io mi assento per una sigaretta, e scopro che i fumatori sono veramente veramente pochi. Certo, è una fortuna, ed è il sintomo che le nuove generazioni preferiscono la Vodka Redbull ad una Marlboro. O magari succede che chi preferisce il tabacco non si scomodi ad uscire fuori, ma fumi dentro senza problemi, magari issando la propria ragazza sulle spalle in stile Concerto Primo Maggio 1999. “E se il popolo rock fosse adesso questo?” mi chiedo. Non so rispondermi, al solito, e mi limito ad osservare.
Quasi “best of” sul finale. Le istanze proto pentastellate e non solo sono ai massimi (lo si nota anche dalla soddisfazione sul volto dei genitori) durante il pezzo decennale “In Italia”. “Tranne te” lancia il pubblico in uno spontaneo e ancestrale ballo collettivo, sottolineato dal felice e sincero commento di Fibra a fine pezzo “La cosa bella del rap sperequistico è che senza dire niente puoi dire qualcosa”. Facilone, certo, ma onesto. Come è onesto il suo stato d’animo, finalmente rilassato dopo l’ingresso cupo e nascosto dal cappuccio.
L’ultimo pezzo “Stavo pensando a te” è forzatamente e formalmente un ultimo pezzo, visto che il concerto si chiude su “Pamplona”, con tanto di lancio di coriandoli argentati. Finalmente festa, dopo che per diversi pezzi il rapper si è svuotato, auto analizzandosi davanti a qualche migliaio di persone. Perché è visibilmente percepibile il disagio, la difficoltà di questo quarantenne. Dalla sua ha che riesce a scrivere pezzi veramente pop, anche se con accenti sempliciotti nei quali esprime il suo stato d’animo e la percezione di sentirsi ultimo. Di essere infelice nonostante l’essere arrivato. Di rimarcare costantemente le porte prese in faccia di un tempo e di oggi. Non c’è rassegnazione però, c’è sfogo e forza di migliorare, in un vortice che comunque lo porterà, secondo me, ad essere sempre in questo stato d’animo.
Il ruolo del pubblico è stato quello dell’analista. Complice non si sa in quale percentuale, divertito senza dubbio. “Chissà come diventeranno i 15enni ascoltando Fabri Fibra” mi chiedo. La domanda è idiota, perché anche io ascoltavo Nirvana e Bad Religion. L’unica cosa di cui ho certezza, forse più del fatto che Bersani non riesca a prendere alle prossime politiche più del 4%, è che la puzza sotto il naso di molti nei riguardi di Fibra sia solo un esercizio di stile. Molto più intelligente e conveniente ascoltare e soffrire un Edda a caso, o Liberato (che secondo me è lo Chef Ruffi, e chi non conosce studi), che cimentarsi in questo guazzabuglio di mondo reale, i cui contenuti sono realmente potenti e veri. Son contento, anche questa è fatta.
“Coda firma timbro passa”.