Il 16 ottobre 2016 riapriva in pompa magna il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci. Un evento epocale a cui parteciparono migliaia di persone e corredato da decine di eventi collaterali, firmati dal Centro stesso e anche dalle gallerie d’arte della città.
L’impressione fu che qualcosa di enorme e magnifico avesse finalmente cominciato a muoversi per la gioia degli amanti dell’arte e della città tutta, scettici e detrattori compresi.
Dodici mesi dopo, il 16 ottobre 2017, il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci sembra aver perso quasi del tutto quella spinta emotiva che ne aveva accompagnato la riapertura e che proceda adesso con una certa mestizia dietro a lavori da terminare, mostre di rilievo forse non adatte al grande pubblico e una procedura per la nomina del nuovo direttore che per quanto legittima ha fisiologicamente contratto la programmazione del primo anno della nuova vita del Centro, collegando la sua apparizione sui media più alle polemiche del direttore uscente che alla validità e al richiamo dei progetti futuri.
Funzionano invece le iniziative collaterali e locali: gli incontri dedicati all’arte, che sono ormai un successo consolidato, e anche la sala cinema, che porta a Prato delle vere e proprie perle del cinema moderno e contemporaneo.
In un’intervista firmata Anna Beltrame comparsa sulla Nazione ieri, 15 ottobre, il direttore Cavallucci ha fatto il punto sul primo anno e continuato sulla linea tenuta con la lettera aperta inviata ai giornali la scorsa estate, quella con la quale denunciava ingerenze da parte del Comune nella programmazione del Centro.
Il bilancio di Cavallucci è impietoso. Soddisfatto per l’inaugurazione e per il richiamo di pubblico dei primi mesi, lamenta l’assenza di soldi per una programmazione all’altezza, il blocco dei lavori di ristrutturazione, 11 visitatori al giorno nell’ultima settimana (cinema escluso ndr) a fronte dei 200 che secondo lui servirebbero per renderlo vivo tra mostre, incontri e cinema. E poi: quattro i milioni necessari al sostentamento del Centro, solo 2,5 quelli invece a disposizione, e così via. Fino alla mancata realizzazione della mostra di richiamo da affiancare a Robakoswki, “dedicata a Warhol”, sulla quale Cavallucci dice : “Forse non c’era la volontà politica. Si è voluto lasciare una parte delle risorse finanziarie accumulate negli anni di chiusura del museo a chi verrà dopo di me. Senza considerare che un’istituzione è come un organismo: quando lo hai ucciso, lo resusciti male”.
Stamani, 16 ottobre, Cavallucci è comparso anche sul Tirreno, mettendo a fuoco il problema del Centro nel primo anno di apertura: l’assenza di procedure necessarie alla sua stabilizzazione. “Dopo il periodo di urgenza in cui bisognava arrivare alla riapertura, occorreva una fase di stabilizzazione e costruzione organizzativa”, spiega Cavallucci. Un’operazione che spetterà dunque al nuovo direttore in arrivo dal primo gennaio 2018 e che a Cavallucci fa dire degli amministratori pratesi: “Loro dovrebbero dire perché hanno deciso a tutti i costi di cambiare direttore. Non lo hanno mai detto. Quello che ho visto, da parte mia, è una grande dose di incompetenza unita a supponenza”.
Lasciando da parte polemiche e ritardi, il punto è questo. Un anno dopo la sua riapertura ufficiale, a Prato c’è un centro per l’arte contemporanea nuovo di zecca e avveneristico quanto basta per attrarre gente da ogni dove che attende di essere completato e di ripartire, questa volta si spera in modo definitivo, con un nuovo direttore.