Una sera di inizio settembre, ore 20,30 circa. Per la terza volta nel giro di una settimana mi trovo sulla Firenze-Mare in direzione Pisa per un concerto: tralasciati i nomi giovani della tarda estate pratese, quali Brunori SAS e Baustelle, stavolta è il turno di piazze diverse, di artisti diversi, di storie diverse.
Decibel, a molti dirà poco questo nome. Enrico Ruggeri può funzionare meglio come riferimento.
La direzione è la piazza con il monolite crettato in due tipo evento sismico, Piazza Risorgimento, e la cittadina è (o era, maledetti svedesi) la capitale toscana del mobile: Quarrata. La strada è agilissima, il parcheggio scelto è in mezzo alle abitazioni poiché l’imponente schieramento di volontari impegnati nella direzione del traffico mi costringe ad un parcheggio stile 1985.
Capisco subito, come forse era prevedibile, che l’evento gratis si contestualizza in una situazione paragonabile all’importantissima Fiera di Scandicci. Banchi del solito colore arancio, torroni, brigidini (Lamporecchio è dietro l’angolo), pubblico delle migliori occasioni. Le migliori occasioni, ci tengo a precisare, nell’ambito dei raduni lombardi di bocciofile a fine anni 90. Però ci sono i Decibel, c’è lo show.
Provo a prendere posizione in zona giovane (vedi foto), dopo una pausa al Bar Moderno, in cui l’aggettivo Moderno è una meravigliosa parafrasi del concetto espresso nel 1983 da Cristan De Sica in “Vacanze di Natale”. Non a caso penso subito che tutto quello che c’è nel bar risalga a quell’anno.
Guardo le prime file e ricordo i concerti di Ruggeri o di Sergio Caputo di anni fa: molte signore schierate con colpi di sole da fare invidia a Rettore, qualche trentenne che si accalca in attesa della band che un tempo ha da sola tagliato in due il concetto di pop e di punk. Il gruppo che oramai quasi 40 anni fa ebbe il coraggio di guardare a Bowie e a Lou Reed anziché agli Inti-illimani.
Manca poco, ce lo ricorda la voce che ci illustra, in modalità Easyjet, i punti di fuga ed i punti e quelli in cui è possibile fumare, fra le risate profuse degli ex mobilieri in pensione intenti nel loro gelato limone e cioccolato. La musica di sottofondo pre concerto è una scelta dettata dai tre (Ruggeri, Muzio, Capeccia) senza ombra di dubbio: Lou Reed, Iggy Pop e mi sembra anche qualcosa degli XTC. Ottima, bella, anziana ma giovane come ci piace. Sguardi dubbiosi del fresco pubblico pervadono la zona, gli stessi dubbi secondo il qualche mi interrogo su come faranno questi signori in piedi a sopportare “Indigestione Disko”, o comprendere le strofe di “Decibel”. Curiosità alle quali presto ci sarà risposta.
Scopro subito che, essendo in piazza, il concerto sarà una sorta di ibrido. Ruggeri, repertorio, Decibel, repertorio. Insomma la scelta democristiana per la sopravvivenza dello show: inizialmente sorpreso e interdetto lascio al gusto la valutazione. E la sorpresa non è solo la scaletta, ma anche la band con la quale Rouge cavalca il palco, ovviamente vestito in total black. La sua raffinatezza, quasi reazionaria e nobile (del resto questo è di San Babila, oh), si sposa con l’ignoranza sonora della sessione ritmica basso/batteria, paragonabile ad una tribute band di Metallica/Nine Inch Nails. Insomma, una pacca e una compressione sonora capace di rimettere in vita anche Pierluigi Bersani (forse) o di alimentare la DeLorean di Emmett Brown.
Due pezzi appena, ed appaiono gli altri Decibel, Silvio Capeccia, ovvero il clone di Claudio Baglioni e Fulvio Muzio, il medico dedito alla musica. Attaccano la canzone “Decibel”, il sangue si scuote, nonostante la classe naif mitteleuropea della registrazione originale su disco lasci il passo a delle botte di basso senza pietà (poi se avete tempo vi consiglio di cercare la foto del bassista). In una sorta di delirio mistico, sono sincero, le luci gialle sparate sulla pelata di Enrico Ruggeri mi ricordano i capelli giallo-segnaletica-stradale del 1980: mi riporta però subito sulla terra il tono vocale un tempo stridulo e anche sguaiato e ora paragonabile causa tabagismo a quello di Camilleri. Prosegue l’esibizione, in un crescendo coinvolgente per molti ma non per tutti (vedi foto dell’effetto di Indigestione Disko della delegazione Inps di Quarrata) e si alternano brani dei Decibel ai grandi successi, suonati e partecipati anche dal duo Capeccia/Muzio: il cuore si apre, perché vedere questi tre sul palco assieme, dopo i trascorsi, è un messaggio di pace per il mondo intero.
Come se Liam e Noel Gallagher tornassero insieme, come se D’Alema giocasse una goriziana con Renzi, come se Paperino e Gastone mandassero a quel paese Paperina in nome dell’amicizia baldanbeniana.
Arriviamo verso il finale, si percorrono anche tappe importanti come “Primavera a Sarajevo”, conosciuta da tutti come “La Balalaica” o l’agghiacciante Peter Pan che consacra il periodo filo Queen della banda Ruggeri/Schiavone (imbeccata fornita da un amico intenditore che condivide con me l’amore per questo uomo nero). Ultimi strappi di una splendida serata l’esecuzione di “Polvere” con l’intro di “A Forest” dei Cure, l’inciso di “My Sharona” dentro “Poco più di niente” in salsa metal e il trittico finale Contessa/My my geration/Mistero.
Arriviamo a mezzanotte, i ringraziamenti di Ruggeri durano circa 25 minuti in un clima degno del finale di Rocky IV: ricordiamo il migliore grazie, quello agli organizzatori della serata, che a dire dell’artista hanno dimostrato di “avere veramente buon gusto”.
In sintesi il concerto ha tenuto bene, Ruggeri è vivo molto più che in altre occasioni. La band è potente, pure troppo, ma evita che sopraggiunga in noi l’effetto Max Gazzè, secondo il quale al decimo minuto di concerto si cade in sindrome catatonica. Fa letteralmente spavento pensare che Enrico Ruggeri avendo abbracciato in toto la musica nazionalpopolare con successo in diverse occasioni, riesca a far sopravvivere in lui i propri gusti e la propria formazione sofisticata.
Fra televisione, radio, dischi e romanzi scritti questo signore riesce a regalarci live di un’ottima fattura, di generosità e calore, ma di un distacco importante. Perché Ruggeri non è modesto. Ruggeri, e i Decibel in questo concerto, sono gli artisti e ci tengono a sottolinearlo. C’è molto da imparare da questo signore di 60 anni, in termini sia di cultura musicale che di attitudine.
“Vorrei che foste felici dieci minuti al giorno quanto siamo noi in questo momento”. Mi sembra sia una buona frase per chiudere un concerto. Rimonto in macchina e torno a casa, in attesa di un’altra tratta di A11, un altro concerto.