Ore 11,15, Düsseldorf, albergo marcio, siamo svegliati dalla addetta alle pulizie. Abbandoniamo di furia il nostro rifugio, colazione con baklava e kebab, ci rilassiamo una mezzoretta, tanto l’aereo parte alle 15. Con molta calma ci dirigiamo alla stazione, prendiamo il treno per l’aeroporto e lì Bollore ha l’illuminazione di dare un’occhiata ai biglietti già fatti. Un fulmine di terrore percorre i suoi occhi. Cosa può essere? L’infame inchiostro nero sul biglietto segna l’orario di partenza ben un’ora prima di quanto credevamo. Il panico ci rapisce. Quale colossale figura di merda sarebbe perdere l’aereo in questo modo? Bollore è ferito. Vediamo l’aeroporto come probabilmente gli apostoli videro il Cristo risorto, corriamo, saltiamo ogni fila, con quell’istinto di sopravvivenza tutto italiano, veniamo offesi da una guardia tedesca, ma la nostra è una missione per salvare la dignità. Ce la facciamo, arriviamo in tempo e solo lì, trafelati e sudati, una gentilissima poliziotta di frontiera ci dice che l’orario scritto sul biglietto è l’orario di apertura del boarding che precede di un’ora la partenza.
Non sappiamo se sentirci più idioti o più felici. Poi nove ore di volo. “La bella e la bestia” senza sottotitoli.
Arriviamo a Boston, dopo una vita passata a vedere in tivù e al cinema questi fantomatici USA. I grattaceli ci travolgono, col tramonto e i gabbiani dell’Atlantico, poi i fast food, i tossici, la tecnologia e un vecchio che canta canzoni di Frank Sinatra davanti a tre ragazzini con gli skate. Sembra che le tragiche profezie Sioux si siano avverate.
Ora ripartiamo in autobus, tutta la notte. Il Canada.