Premessa. Non sono riuscito a sentire Samuel ma diciamolo (e lo hanno già detto in diversi), non ci incastrava niente con la serata di ieri a Firenze. Col senno di poi, forse, ci sarebbero incastrati poco anche i Cramberries, ma questa è un’opinione personale.
Invece c’entrava – eccome – Glen Hansard, graditissima sorpresa al Firenze Rocks, sublime cantautore che ha attirato tutta la mia attenzione anche durante la fila per prendere una birra. E tornato a casa (ora, mentre scrivo) mi son messo ad ascoltare i suoi dischi, più che quelli dell’headliner della serata, l’ultimo portabandiera del grunge americano, Mr. Eddie Vedder, questa volta in solitaria. Fine premessa.
Forse vi sarà capitato almeno una volta di ritrovarvi tra amici attorno a un focolare e averne uno capace di suonare alla chitarra tutte le canzoni dei Pearl Jam, e finire la serata a cantare tutti insiem “Betterman” o “Black”. Ecco, ieri alla Visarno Arena, si è ricreata più o meno la stessa situazione, solo che a suonarle c’era lui, Eddie Vedder, e a cantarle oltre 45mila persone. Ma l’atmosfera era intima – a tratti surreale – pur ritrovandoci in un luogo enorme. Il primo concerto italiano in solitaria della storia del cantante dei Pearl Jam e il più affollato, a detta sua. Cosa che sicuramente deve aver riempito di orgoglio gli organizzatori del Firenze Rocks, che mettono la palla in buca pure nella seconda serata del loro nuovo festival.
Eddie Vedder è la sua voce – che da solo viene fuori più che mai -, profonda e perfetta, inimitabile: ora dolce, ora aggressiva, divertita e anche commossa. Una voce che migliora col passare degli anni, come il vino buono, di cui non nasconde l’amore nemmeno sul palco, mentre dedica un paio di brindisi al festeggiato patrono, San Giovanni.
Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town, Wishlist, Immortality, sono le canzoni che aprono la serata, suonate con la chitarra elettrica. Giusto per mettere le mani avanti: sono da solo, ma non mi risparmierò. E così prosegue la scaletta, tra brani dei Pearl Jam, della sua carriera da solista, cover (su tutte “Comfortably numb” e “Imagine”, durante la quale è sfrecciata sulla testa del pubblico pure una stella cadente gigantesca). Un treno in corsa, due ore e mezzo di concerto, quasi trenta canzoni in totale. Il momento più toccante è stato vedere Vedder in lacrime sul finale di “Black”, mentre urla al cielo “come back” (alcuni l’hanno letta come una dedica a Chris Cornell).
Eddie Vedder è l’artista che durante la sua carriera è riuscito a far innamorare e avvicinare i suoi fan prima alle chitarre elettriche e poi all’ukulele. Si palleggia sul palco tra l’elettrica, l’acustica, l’ukulele e il mandolino: il concerto termina con un magico set in duo con Glen Hansard, durante il quale a un certo punto non si trattiene più e si butta in mezzo alla folla, sorretto in piedi dai fan.
Una serata memorabile, di quelle come ne capitano poche. Proponiamo di sostituire i fuochi di San Giovanni, ogni anno, con un concerto di Eddie Vedder (o anche dei Pearl Jam). La festa è assicurata.
Scaletta
Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town
Wishlist
Immortality
Trouble (cover di Cat Stevens)
Brain damage (cover dei Pink Floyd)
Sometimes
I am mine
Can’t keep
Sleeping by myself
Setting forth
Guaranteed
Rise
The needle and the damage done (cover di Neil Young)
Unthought known
Black
Porch
Comfortably numb (cover dei Pink Floyd)
Imagine (cover di John Lennon)
Better man
Last kiss (cover di Wayne Cochran)
Falling slowly ((con Glen Hansard)
Song of good hope (con Glen Hansard)
Society (cover di Jerry Hannan)
Smile (con Glen Hansard)
Rockin’ in the free world (cover di Neil Young)
Hard Sun