L’alpinismo è una questione filosofica, ma anche di stile. Arrivare alla vetta va bene, ma importa anche come. Trovai un grande maestro di montagna quando gli ammirai il piumino, ma l’uomo più elegante che abbia mai conosciuto era un bovaro montanaro del Berner Oberland.
Ero stato su una piramide di neve sprovvista di porta d’ingresso. Le osservazioni preliminari risultarono illusorie. Succede spesso. Credi di sapere dove andare, come fare, ciò che ti occorre, e la terra ti fa capire la tua presunzione.
Tornando a valle, passai una fattoria in festa per il centesimo compleanno del patriarca. Bevevano Pflümliwasser distillato in casa. Ricordo la meravigliosa capigliatura del vecchio, la sua giacca di velluto nero coi bottoni d’argento, la camicia fiorita. Mi sembrava di vedere la terra dallo spazio, un corpo celeste colorato di vita. Il festeggiato conosceva intimamente le montagne attorno che in quella sera a luna piena sembravano fantasmi di giganti. Ne parlava in un dialetto stretto che capivo appena.
Conosco un camiciaio a Prato, un signore italiano come ce ne sono rimasti pochi. Non ha cent’anni, ma non avrà problemi a raggiungere quel traguardo. Pure la sua eleganza è di acciaio inossidabile. Nella vetrina del suo negozio in centro, inscena rotoli di stoffa inglese, fantasie vittoriane. Mi sembra sempre di vedere prati in fiore a oltre duemila metri.
Da Piazza Mercatale, una delle porte d’ingresso alla città vecchia sembra incorniciare la Calvana, una pelliccia di alberi che copre le nudità di una gigantessa pelata supina. Verso sera, la cima dice, vieni su a trovarmi, anche domani. Mi sembra di obbedire quando m’incammino per conoscere una montagna. Altre volte, mi sembra di obbedire rinunciando.
Oltre gli alberi, un vento oltraggioso spinge verso la modesta vetta.
Sulla Calvana ho visto serpenti che danzavano attorcigliati il loro amore, e una mandria di cavalli allo stato brado, dal pelo lungo. Una volta, sul prato dei cavalli, atterrò un chiassoso aeroplanino ultra-leggero. Feci una breve conversazione col pilota barbuto, che non chiese indicazioni, né mi fece complimenti per la camicia dipinta di rose e non ti scordar di me, prima di ripartire. Lassù non ho mai sentito frinire grilli, nonostante il nome del posto. Da quel prato senza fiori si vedono l’Appennino, croci, un’autostrada silente, torri medievali, pozzanghere di paesini fluiti insieme per formare un mare di costruzioni umane, costellato di luci artificiali, vetri specchiati e ciminiere.
Alpinisti stremati aggrappati alla roccia ghiacciata al buio vedono brillare i paesini sotto e si domandano, perché.
La Calvana pone una sola domanda esistenziale, e la risposta è semplice. Scendi in tempo per lo struscio, prendi una striscia di pizza, fai il giro delle vetrine.