Esattamente 11 giorni dopo i Baustelle, Firenze vive nuovamente ed in maniera più prepotente la propria primavera musicale. Distrutto dal forfait di Ligabue (facciamo poca ironia, signori), il capoluogo toscano ospita la Brunori SAS. Montepulciano-Milano contro Cosenza-Firenze: perché Dario è un pezzetto di Firenze, lo sanno bene tutti, anche i fan della prima ora come noi.
Recensire un concerto come quello di ieri sera è semplice, perché basta non perdersi nei canoni tecnici o di intelligenza, quelli che tiriamo fuori sostanzialmente quando andiamo a vedere una grande band anglofona che va tanto di moda e che ci invita all’evento per una mera questione presenzialista. Dario Brunori e la sua SAS hanno vissuto realmente Firenze, hanno scambiato una buona parola con tutti, hanno venduto e vendono dischi e tutti noi conosciamo i loro pezzi. Esattamente come per i Radiohead, ad esempio, il cui pubblico ha tendenzialmente snobbato l’evento perché del resto è inutile, noioso, italiano il fare musica senza senza sperimentare e magari con dei brani “normali”.
L’inizio per noi “aficionados” è dei peggiori, perché non è una classica serata di presenzialismo inutile. Stress puro. Un’ora e venti di saluti e parole, con tutti, dai colleghi che scoprono questo Dario perché passato in RAI ai vecchi fans con cui le parole son poche e sorridenti, rimembranti delle date a Settignano o a Scandicci. Quando la SAS era un buon complesso di provincia, Dario aveva i baffi alla Nino Manfredi e tutto finiva dopo con un lampredotto al baracchino vicino.
Ci rendiamo subito conto che il clima è cambiato. 15 metri di fila per il bagno delle signore, con qualche ragazzo timido, neofita di concerti o di manifestazioni pubbliche, che fa anch’egli la fila. 200 metri di coda esterna per l’ingresso all’Obihall. Auto parcheggiate dentro la rotonda che fu del piovoso omino di Folon. Non stanno suonando i Negramaro, ma Brunori SAS.
Inizio concerto canonico con il singolone “La verità”, palco perfetto, batteria laterale stile Doors con all’esecuzione l’ottimo Massimo Palermo. Illuminazione facile, jovanottiana con led casuali in movimento. Lucia Sagretti al violino messa bene in alto,subito denominata da noi tutti “la cubista del gruppo”.
Stefano Amato, ai bassi, tarantolato come sempre con un basso elettrico e le movenze del bassista che fu de “Le Vibrazioni”. Simona Marrazzo, la loro Raffaella Carrà, immersa in suoni ed in strumenti inutili ma in ogni caso molto funzionali. I maestri Della Rossa e Onofrio dentro i loro strumenti, tastiere di tappeto e sax in perfetto stile Papetti.
In mezzo al palco questo signore con la barba brizzolata, a contraddistiguere il fatto che nessuno capisca se è un giovane vecchio o un vecchio giovane: la stessa condizione che visse Franco Battiato, stavolta la vive Dario Brunori.
Non ho mai visto così tanta gente stipata dentro quel disco volante chiamato Obihall. L’atmosfera rimanda i karaoke live di Vasco Rossi perché le persone cantano i pezzi, e non solo gli ultimi. Certo, il livello vocale medio è estremamente alto, vista la percentuale femminile, chiaramente più sensibile alle tematiche della SAS. Fa strano però, che non c’è Nek sul palco, c’è un signore di Cosenza che abbiamo visto crescere ed in parte imbiancare.
Passano i minuti, i pezzi, i boati. I pezzi nuovi si alternano a quelli vecchi, Dario Brunori nel frattempo diventa il Boss, annunciando addirittura matrimoni, e alternandosi fra pianoforte e chitarra. Esco a fumare, perché il concerto è uno di quelli facili. A me basta l’empatia, il giudizio sull’esecuzione, pur eccellente, lo lascio ai professionisti musicofili.
I concerti si vedono anche fuori, guardando le persone e l’effetto che fa (come direbbe Jannacci), ed infatti mi si accosta al volo un ragazzo dai capelli lunghi che saluta cordialmente. Lucio Corsi, l’artista di apertura, un mix fra il primo Peter Gabriel e Federico Fiumani. Giovane, gentile, modesto, curioso. E bravo sul palco, perché percepisco che la dote di far fermare le persone ad ascoltare la sua musica questo strambo ragazzo ce l’ha. Non ha paura, non ha ansia di arrivare, è lui. Parlando con Corsi giro lo sguardo in una conversazione degna di un film di Cronemberg, fra quegli strani esseri denominati Calcutta e Francesca Michelin, anche loro presenti per la celebrazione del cantautore cosentino. Insomma, ci son proprio tutti.
Prosegue il concerto, arriva alla dipartita finale con l’Albachiara di Dario, ovvero “Guardia 82”, che oramai è cantata dal pubblico, con “Kurt Cobain”, brano che mi sorprende sempre per quanti estimatori abbia, e con la splendida “Secondo me”, un brano intimo e potente, perfetto per un fine concerto.
Si respirano tante atmosfere in concerti del genere. Ci sono tante faune miscelate. I fan della prima ora scontenti di condividere questo spettacolo. I fan dell’ultima ora caricati a molla. Quelli che “me lo fai conoscere? Ma che dice?”. Gli amici di Dario che se la godono. I fan cresciuti con questa musica, perché la cosa splendida di questo collettivo è l’essersi portato dietro uno zoccolo duro che è cresciuto con loro. Gli amici degli amici degli amici. Gli amici di Dario a cui frega poco se non salutare qualcuno e dire di essere stati li. Giusto, plausibile.
Una serata che mi ha reso felice, e raramente lo dico, perché ho visto oggettivamente un ottimo concerto ed ho visto maturare un artista ed una band in maniera esponenziale. La Brunori SAS è la riprova che lavorando ed avendo qualcosa da dire l’Italia non è un posto da buttare, anzi. La riprova che si può essere artisti e musicisti e condividere senza velleità, senza sovraesposizioni mediatiche, ma con onestà e amore quello che abbiamo da dire. Con semplicità, come la piadina che alla fine ho condiviso con alcuni di loro fuori dall’Obihall. Tutto cambia, in meglio. “La verita”, la mia, è questa, dopo il concerto.