“Quanto male ci hanno fatto i Radiohead”. (R.M)
Anche stavolta è andata, nel vero senso della parola. A Firenze si è celebrata la serata della musica rock, la migliore, con la regia di Controradio. Il Rock Contest, il più importante premio italiano di musica rock, giovane, o alternativa (mettete sta cosa nell’ordine che volete).
Serata partecipata, tanta gente, complice il concerto del giovane Motta (che almeno non ha uno pseudonimo casuale, ma usa il suo semplice cognome). Serata importante, imprescindibile per noi fiorentini che amiamo la musica e che sappiamo che sulle colline del Poggetto ce ne è passata tanta e tanta ce ne passerà nei prossimi anni.
Coda al botteghino, atmosfera elettrica, saluti e saluti, come in una specie di direzione nazionale PD. Tutti si conoscono, stampa, artisti, giuria, fonici, avventori, amici e amiche. In finale sei band, anzi sei progetti (perché oramai il termine band è desueto, almeno per i più): Handshake, Light Whales, Manitoba, Plateaux, Ros e Handlogic. Inizio battaglia ore 22 circa, tutti dentro. Scheda alla mano, giuria schierata a sto giro senza nomi mastodontici come Manuel Agnelli o Piero Pelù, ma con una folta schiera di artisti che piacciono alla gente che piace, come Jacopo Incani alias IOSONOUNCANE o Lorenzo Urcillo alias Colapesce. Senza dimentare Max Collini, che il Contest l’ha vinto trionfando alla grande anni fa, Giulio Favero e non per ultimo il presidente di giuria, Alberto Ferrari dei Verdena.
Non vi vogliamo narrare le velleità o le capacità delle singole band, per quello potete ascoltare o leggere i pareri sui social o sulle riviste di genere. Vi diciamo solo che alla fine hanno vinto i migliori, gli Handlogic. I primi della classe hanno preso il premio: primi ad esibirsi, primi a vincere, primi ad avere, buon per loro, un contatto per una produzione. Tutto perfetto, perché è stato tutto perfetto.
Nonostante i vincitori più che un approccio rock, “da Flog” diciamo, avessero un atteggiamento proprio da primi della classe, come già detto. Perché forse lo sono, nonostante la giovane età, nonostante un look di chi non abusi di alcool o sostanze ma si perde dietro ad accordi o sonorità del nuovo millennio. Non tifavamo per loro, ci piacevano più i sanguigni Ros, con la cantante con i capelli rosa, che nonostante sia un clichè degli avventori con la chitarra elettrica, colorava la rassegna.
Nulla di tutto questo, perché il dramma della musica degli ultimi anni è stato il fagocitarsi in sonorità piene di sinth, programmazioni, batterie elettroniche, voci effettate, atmosfere dilatate e complicate. Il laptop ha preso strada nei confronti dei pedali della chitarra, che viene imbracciata sempre bella alta, come ti insegnava il maestro ex metallaro e convertito al jazz blues.
E la riflessione non è diretta ai bravi vincitori, ma alle nuove generazioni, che hanno eletto a sindaco della musica mondiale Tom Yorke. Perché. Perché. Perché.
Eppure ai concerti ci vado ancora, che ho quasi 40 anni. Ma non ho capito il momento in cui i nerd della musica hanno abbandonato la chitarra acustica e hanno iniziato ad usare il laptop. Non ho capito quando le sonorità di Giorgio Moroder sono diventate belle. Quando costruire e chiudere un pezzo è diventato una sorta di cafonata.
La festa è stata perfetta, i vincitori pure. Il rock è morto da tempo, anche se è una di quelle cose che sotterriamo ogni qualvolta ascoltiamo un brano che ricorda un mostro sacro, non capendo che rivive tutte le volte che qualcuno cita o copia qualcuno di precedente. Il problema è che lo scenario davanti a noi non ha citazioni, ma nemmeno rotture vere e proprie. Ma è un bene, perché finalmente in Italia, forse, torneremo un giorno a fare quello che sappiamo fare, ovvero qualcosa di nazionalpopolare, quello per cui siamo famosi al mondo. E finalmente oseremo stoppare l’ultimo disco dei Radiohead perché dopo 5 minuti il nostro gatto è andato in iperventilazione e a noi la pressione c’è andata a 56/90. Verrà quel giorno, me l’ha detto anche Califano in sogno.