Non amiamo particolarmente Ken Loach. O meglio lo amiamo politicamente, ma il cinema è più importante della politica.
I suoi film difficilmente si innalzano dalla retorica grigia dei sobborghi tutti operai alcolizzati e messinscena piana. Ci si ricordano alcune storie, magari commoventi e forti, ma si stenta a ricordare una sola immagine che le caratterizzi. E’ un cinema medio importante più da un punto di vista distributivo (è tra i pochi autori che ancora incassano un minimo) e sociologico/ideologico, ma che davvero riusciamo a stento a ritenere importante per la Storia del Cinema. IO, DANIEL BLAKE, incomprensibilmente premiato a Cannes se non per via di un’edizione non esattamente esaltante, è una fotocopia di film altrove riusciti meglio (My name is Joe). Piacerà, ovviamente tanto, ai fan.
Con PIUMA, dopo il buon esordio de I primi della lista e gli universitari quasi-mucciniani di Fin qui tutto bene, Roan Johnson ci propone un Juno in salsa italiana, riletto in un’ottica attenta e calibrata con un occhio a Virzì e l’altro a Francesco Bruni, detoscanizzandosi. Tutto grazioso, carino, pure divertente a tratti, ma anche televisivo e telefonato, targettizzato e costruitissimo nella sua apparente leggerezza. Johnson cerca l’immedesimazione. Ha capito perfettamente quello che vuole il pubblico. E’ intelligente e capace ed è probabile che troverà un pubblico ben più vasto dei due film precedenti, ma se non si accetta il gioco quel che resta è davvero poco, cinematograficamente parlando. E poi basta con questi protagonisti che non hanno mai un nome normale (Ferro). O è una citazione?
Certo ovvio, molto meglio Piuma de I BABYSITTER, remake del francese Babysitting che era a sua volta una variazione sul tema di Una notte da Leoni/project X. Un derivato alla seconda insomma del cinema demenziale americano con Ruffini e Mandelli al posto di Cooper e Galifianakis. Ma se l’idea di svecchiare gli schemi del cinepanettone con quelli più contemporanei che riempiono le sale di gggiovani sarebbe buona, bisognerebbe cominciare a rinnovare anche i nomi nei credits.
Deludente il remake di JACK REACHER, PUNTO DI NON RITORNO, action con un Tom Cruise sempre più bionico che prende a cazzotti tutti. Viene meno il mestiere malinconico, molto anni 70 del prototipo. E le nuove comprimarie non hanno il fascino di Rosamund Pike.
Dal romanzo del mancato nobel Roth, AMERICAN PASTORAL vede Ewan McGregor cercare una grossa giustificazione culturale al passaggio alla regia. Ma il tonfo è prevedibile, proprio in virtù di una regola non scritta, ma spesso veritiera: è più semplice trarre un gran film da un libro mediocre piuttosto che da un libro importante.
Dopo galline e tacchini in fuga e pinguini alla riscossa arrivano le CICOGNE IN MISSIONE. Un giorno, forse, finiranno gli uccelli disponibili.