Contemporanea Festival è entrata nel vivo ieri sera al Metastasio con quello che si preparava a essere lo spettacolo più atteso della rassegna di quest’anno: un teatro gremito di persone curiose e un po’ tese per “Five easy pieces” di Milo Rau. Tese perché non consapevoli di cosa sarebbero andati incontro, se non quello che veniva descritto sulla presentazione della pièce, che, riassumendo, recitava più o meno così: una compagnia costituita da sette bambini tra gli otto e i tredici anni cui sarà affidato il compito di raccontare la storia vera è quella del “mostro di Marcinelle”, il serial killer belga che a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 sequestrò, torturò, abusò e uccise alcuni adolescenti. Un po’ di tensione era più che comprensibile, insomma.
La rappresentazione inizia con un’audizione, forse molto simile a quella attraverso la quale son stati scelti i giovanissimi, e di un talento non comune, bambini in scena. Un solo adulto sul palco, a cui è dato il ruolo di colui che la fa da padrone, il deus ex machina della regia. Che sovrasta la scena proiettato alle spalle dei ragazzi, l’uomo che ha il potere di dire sì o no. Che fa domande, chiede, indaga sulla vera intenzione dei ragazzi di diventare attori. “Chi è questo uomo?” a un certo punto domanda: si tratta di Marc Dutroux, “l’assassino dei bambini”, e i piccoli attori lo identificano subito.
Lo spettacolo avanza attraverso i cinque brevi atti del titolo che mettono in campo le relazioni di chi è stato diversamente legato al fatto di cronaca, ma da questo si emancipa per investigare un’emotività meno ovvia, di cui i ragazzini si fanno interpreti e portatori. Il palco è suddiviso in tanti piccoli set, sul video vengono proposte scene reali e inquadrature agli attori che raccontano il loro pezzo di questa triste storia, come una sorta di intervista che finirà all’interno di un documentario.
Ecco allora che ci ritroviamo ad ascoltare la testimonianza del poliziotto, dei due genitori a cui viene comunicata la morte della figlia, il testimone al quale il regista chiede di piangere realmente, il padre dello stupratore. Una tensione e un disagio continuo e crescente si prova nell’ascoltare tutti i punti di vista: il culmine dello spettacolo si tocca con uno dei ciack dove su un letto si prepara una bambina, la più piccola della compagnia, a interpretare una delle vittime del predatore belga. “Spogliati”, le chiede il regista vicinissimo alla bambina: la sensazione di disagio è palese, l’immagine rimanda subito all’aguzzino e allo scantinato dove teneva rinchiuse le sue piccole vittime, ma ancora una volta con grande delicatezza, Rau riesce a non superare il limite dell’osceno, ma si lascia tutto alle parole della bimba, il cui volto è amplificato dalla telecamera che le esalta gli occhi.
Uno spettacolo coraggioso e riuscitissimo, sotto tutti i punti di vista, che fa uscire dalla sala lo spettatore con mille input in tasca. L’idea è senza sconti, i taboo annientati, i bambini giocano a fare gli adulti, schiacciando chi ascolta sotto i controversi aspetti dell’uomo. Si parla di innocenza, di libertà, di abuso di potere, istruzione e manipolazione: una delle storie più orribili, raccontata dagli essere più innocenti.