Entrerà nella storia la vittoria dell’Italia sulla Spagna, come una delle pagine più esaltanti della epopea calcistica azzurra recente. Comunque vada a finire questo Europeo, che continua a regalare emozioni tanto intense quanto inaspettate alla vigilia. Dopo le orripilanti prestazioni sciorinate contro Svezia e Irlanda, quando già ci si chiedeva se il clamoroso esordio contro il Belgio fosse destinato ad essere un accadimento estemporaneo, per quella che rimane una delle Nazionali tecnicamente meno esaltanti a memoria di tifoso, eccola lì l’Italia che hai sempre sognato di vedere, ma che ultimamente non osavi più chiedere.
L’Italia non solo vince due a zero contro la Spagna, diventata in questa decade la nostra bestia nera, ma lo fa dando una lezione di calcio agli esosi iberici, certificando – dopo il disastroso mondiale brasiliano – la cesura definitiva di un ciclo, la fine del tiki-taka di sta ceppa, coi suoi passaggi orizzontali e l’ossessivo possesso palla, che ormai non fanno più paura. Entrati in capo col demonio in corpo, gli azzurri sbloccano la partita dopo la mezzora, grazie a una papera di De Gea al quale le sviste son concesse visto che sul suo capo pende una denuncia per violenza sessuale di gruppo, di cui dovrà render conto al suo imminente ritorno in patria. Il portiere spagnolo, che ha vinto a inizio torneo il ballottaggio contro il fantasma di Iker Casillas, non trattiene la punizione potente ma centrale di Eder, reagisce stendendo in area Giaccherini, ma viene beffato da Chiellini che insacca la rete che vale il vantaggio. Si riscatta subito dopo, De Gea, con un miracolo sul gran tiro dello stesso Giaccherini, trasformatosi in questi europei in un Dio del calcio.
Nel secondo tempo la musica non cambia, la partita la fa sempre l’Italia che tiene botta al ritorno degli spagnoli, si difende con grinta e semina il panico con ciò che ci rende unici al mondo, più del sole e del Rinascimento, della buona cucina e della dolce vita: il meraviglioso contropiede. Quello col quale Eder, supportato da un ottimo Pellé, fallisce, dopo una sgroppata degna di un Bruno Conti dei tempi moderni, la più clamorosa delle occasioni, sparando addosso a De Gea ancora una volta bravo (e fortunato), in uscita disperata.
Il mancato raddoppio stavolta mette paura, gli spagnoli conquistano inesorabilmente metri schiacciando gli azzurri nella propria metà campo. Ma come recitava un lento adagio di uno dei massimi filosofi esistenzialisti del Novencento, John Belushi, quando il gioco si fa duro i duri entrano in gioco. Conte manda in campo Insigne che si rende subito pericoloso. Ma soprattutto sale in cattedra l’immortale Buffon. Il vero leader del gruppo.
L’ultimo minuto di gioco è da onanismo spinto. De Gea batte una punizione da fuori area, sul lungo spiovente la difesa azzurra commette il primo unico errore del match, liberando il fidanzato di Shakira detto anche Terza gamba Piqué a pochi passi da Buffon che, con un riflesso degno di un Gordon Banks ai mondiali del 1970 su Pelé, degno di uno Zoff su Oscar in Italia Brasile 1982, riesce a deviare la palla, dimostrando, ancora una volta, ce ne fosse bisogno, la differenza che intercorre tra essere un bravo portiere ed essere il numero uno dei numeri uno.
Sul corner successivo rubiamo palla, Insigne si invola, ma quando il contropiede sembra scemare, l’attaccante del Napoli vede dall’altra parte di campo, al limite dell’area, Darmian – subentrato da pochi minuti a Florenzi – solo come Coppi sullo Stelvio. E lo serve senza indugio. Il difensore del Manchester ed ex Toro – scartato per sua fortuna dal Milan – la rimette dentro dove spunta Pellé che, come nel più maestoso dei dejavu, gliene sverza dentro con prepotenza per il due a zero definitivo. Esplode la gioia collettiva. Sugli spalti si ritorna a intonare i White Stripe, mentre Conte si arrampica come un macaco sulle tribune. E la Germania inizia a tremare.